Pagina:Deledda - Nostalgie.djvu/123

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domanda intima di Antonio echeggiava anche nell’anima sua.

Che cosa le mancava? Erano giovani e sani entrambi. Antonio l’amava ardentemente, ciecamente: viveva di lei. Ed egli era bello, e c’era in lui, nelle sue mani morbide, nei suoi occhi voluttuosi, nel profumo naturale dei suoi capelli, un fascino che riusciva spesso a inebbriarla.

Eppure, in quei meriggi deliziosi nei momenti in cui ella sembrava più felice, mentre Antonio le accarezzava i capelli, tirandone su qualcuno e osservandolo come una cosa preziosa, ella improvvisamente s’oscurava in viso e ricominciava i discorsi stravaganti.

— Che cosa facciamo noi nella vita?

Antonio non si spaventava.

— Che cosa facciamo? Viviamo. Ci amiamo, lavoriamo, mangiamo, dormiamo, andiamo a passeggio, e quando possiamo anche a teatro.

— E ciò non è vivere! O per lo meno è una vita inutile, della quale io sono stanca.

— Cosa vorresti fare?

— Non so; vorrei volare. Non nel senso sentimentale che si dà a questa parola, ma veramente volare. Uscire dalla finestra, rientrare dalla finestra. Vorrei inventare io il modo.

— Ci ho pensato anch’io, qualche volta.

— Tu non capisci niente! — ella diceva, un po’ stizzita. — No. Io vorrei fare qualche cosa che tu non puoi capire, e che del resto non capisco neppur io!

— Brava allora!

— Senti, è come quando si ha sete di una bevanda introvabile, sete che nessuna cosa può dissetare. Tu lo avrai provato...