Pagina:Deledda - Nostalgie.djvu/14

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archi sfuggivano, nella vaporosità lunare, simili a immense porte azzurre, chiuse. Questa degli acquedotti era forse un’illusione ottica; Regina, che pur fidandosi poco dei suoi occhi si ostinava a non voler adoperare gli occhiali, si sentì egualmente commossa per le visioni grandiose che credeva d’intravedere nel barbaglio del vetro scosso dal vento.

Roma! Un tripudio infantile l’assaliva al solo pensiero che Roma s’avvicinava; che Roma, la città meravigliosa, lungamente sognata, la capitale del mondo, il nido d’ogni delizia e d’ogni spendore, Roma stava per diventar sua!

La stanchezza del viaggio, lo sgomento dell’avvenire così diverso dal passato, il dolore delle dolci cose perdute, la paura della gente ignota che l’aspettava, le ripugnanze dei primi giorni di matrimonio, ogni tristezza, ogni repulsione, ogni delusione svaniva davanti alla realtà del sogno lungamente, ardentemente accarezzato.

Antonio s’alzò e s’avvicinò al cristallo che riflettè la sua bella figura di biondo, alta, svelta, dominatrice. Regina vide nel cristallo i lunghi occhi grigi carezzevoli che la guardavano; vide la bella bocca, rossa sotto i baffi ardenti, sorriderle e accennarle un bacio, e si sentì felice, felice, felice.

— Pensa, — disse Antonio, curvandosi su lei come per confidarle un segreto. — Pensa, Reginotta! Siamo a Roma!

Ella non rispose.

— Ci pensi? — egli insistè.

— Altro che ci penso!