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LIBRO QUINTO 275

sostenesse di volersi comperare mediante danaro gli accordi. Egli rispondea, essersi Alarico intertenuto nell’Epiro per vantaggio del principe, onde congiuntamente colla sua opera mossa guerra ad Arcadio e toltegli le provincie Illiriche unirle all’impero d’Onorio. E tanto in realtà avvenuto sarebbe qualora impedita non si fosse per lo addietro la partenza verso l’oriente della scritta dal principe, nella cui attesa quegli perduto avea colà sì lungo tempo. Mentre poi tale ragiona mostra la prefata lettera chiamando in colpa della contrammandata spedizione Serena, la quale desiderava non venisse punto meno la concordia degli imperanti.

Approvate dalla generalità siccome giuste le udite considerazioni, piacque al senato di trasmettere ad Alarico, a titolo di pace, quattromila libbre d’oro, sottoscrittosi da molti il senatoconsulto non di moto proprio, ma da temenza indotti. Lampadio allora, di chiarissima prosapia e dignità, proferì nel paterno idioma le seguenti parole: Non pace è questa, bensì convenzione di servaggio. Dopo di che, scioltosi il senato, egli, paventando per così libero favellare non avvenissegli qualche disgrazia, riparò ad una vicina chiesa de’ cristiani.

Stelicone, fatti di tal modo gli accordi con Alarico, apparecchiasi alla partenza, risoluto di mettere ad effetto i suoi disegni. Onorio poi statuito avea da Roma passare a Ravenna per rassegnarvi l’esercito e benignamente aringarlo, stimolato in ispecie dall’avere sì forte nemico messo piede in Italia. Aggiugneva in oltre di secondare nella presa determinazione meno la propria volontà, che i consigli di Serena, bramosa mirarlo vi-