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128 la carbonaria

padron degno, di tante grazie e favori ricevuti da voi; onde se non v’ho servito come dovea, tuttavolta la prontezza dell’animo ha sopplito dove han mancato l’occasioni.

Pirino. Di picciol fonte non può nascer gran fiume: non l’ho servito come desiderava, atteso il mio poco valore.

Alessandro. Tra buoni amici si disconvengono le cerimonie: quel poco ch’io vaglio, spendetelo a vostri commodi.

Pirino. Però vengo alla libera con voi, e perdonatemi del fastidio.

Alessandro. Allor ricevo fastidio e noia, quando non mi vien comandato da voi cosa alcuna, ch’è mio debito servirvi; venghiamo al tronco.

Pirino. Non so se sapete la mia disgrazia, che Mangone ruffiano ha venduto al dottore la mia Melitea.

Alessandro. Non n’ho inteso cosa alcuna, ché se n’avessi saputo un cenno non averei aspettato che me l’avessi domandato.

Pirino. Mi complisce — per cagion de’ miei amori che mi premono piú assai della robba e della vita, — che andiate a mio padre e lo preghiate che compri in vostro nome da Mangone un schiavo nero di diciassette over diciotto anni, ben fatto, che abbia del nobile, e non avendolo, che lo cerchi; e li diate per lo prezzo cento scudi che sono in questo fazzoletto, e se non bastano, almeno per arra; e comprato che l’averá, menilo a casa sua ben custodito, insin che andate o mandate per lui.

Alessandro. Non altro di questo?

Pirino. Non altro.

Alessandro. Perché tanti scongiuri?

Pirino. Con questo verrò a rubar la mia Melitea dalle mani del ruffiano, come poi vi dirò piú a lungo in casa vostra. Aiutatemi, amico caro, a cosí onesto e onorato furto; e se mi potrete scambiar questi danari in altri, me ne farete piacere, perché son di mio padre, ché non venisse a riconoscergli.

Alessandro. Andrò or ora a servirvi; ho da scambiar questi e altri a vostro servigio; a dio.

Pirino. A dio.