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158 la carbonaria


Panfago. Se prima non fo un poco di collazione e mi beva duo bicchieretti di vino, non arai ben di me tutt’oggi.

Dottore. Se mi darai modo che ricuperi Melitea e mi vendichi di costoro, ti darò tal mancia che non arai piú a morirti di fame mentre sarai vivo.

Panfago. Mi dá l’animo che la trappola che han tesa contro te scoccherá contro loro: gli faremo un tratto doppio, che avendola comperata per cinquecento ducati, l’abbi per cento, anzi per nulla.

Dottore. Tu mi curerai di due malatie, di amor, di gelosia: e dell’una risanandome, dell’altra riempiendomi di speranza. Fa’ questo, ch’io non ti mancherò di quanto ti ho promesso.

Panfago. Ascolta quanto dico.

Forca. (Giá espugnata la fortezza e soggiogati i nemici, potrai entrar in una casa e goder delle spoglie de tuoi nemici).

Pirino. (Taci, ché gli inimici ancor sono in campagna. Veggio Panfagoe il dottore a stretti ragionamenti).

Forca. (Chi sa se gli scuopre i nostri secreti?).

Pirino. (La fortuna comincia i suoi cattivi effetti: siam rovinati).

Forca. (Lo so: vorrei che dicesse cosa che non sapessi. Scostiamoci e ascoltiamo che dicono).

Panfago. Poiché costoro han tinto di carbone la faccia a Melitea e l’han fatta comprar da quel buon vecchio — e or è in casa sua, — andiamo a Filigenio, scopriamogli la veritá; essageraremo il negozio, che arderá di sdegno contro il figlio, porrá Forca in una galea, cacciará Melitea di casa sua per i capegli a bastonate.

Pirino. (Intendi?).

Forca. (Intendo, sto attento; taci).

Dottore. Egli nol crederá.

Panfago. Anzi lo crederá prima che s’apra la bocca, ché i vecchi son di natura sospetti, e giá del fatto v’è in sospetto; e quando fusse restio a crederlo, della veritá ne potremo far veder subito l’isperienza: che lavatole la faccia restará bianca e, se vuol toccar con mano se sia femina o maschio, le scalzi le brache e lo vederá.