Pagina:Della Porta - Le commedie I.djvu/214

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204 la fantesca


Cleria. Mi vede, eh?

Essandro. Vi vede, vi parla, vi tocca e vi sta sempre appresso.

Cleria. Egli mi tocca e vede? Fioretta, dici da vero?

Essandro. Cosí da vero come vi vedo e tocco io.

Cleria. Egli mi tocca?

Essandro. Ti abbraccia, ti bacia e ti vede sempre, e ha tanto piacer di vederti e di abbracciarti che mai simil ebbe; ed egli si terrebbe felicissimo se in quel punto fusse riconosciuto da voi.

Cleria. Scherzi, eh?

Essandro. Possa morir se scherzo.

Cleria. Perché dunque non mi si scuopre?

Essandro. Perché dubita.

Cleria. Di che dubita?

Essandro. Che avendolo forse a male, lo privaste di tanta gioia; e s’egli stesse un sol giorno senza vedervi, si morrebbe di ambascia.

Cleria. Col pensiero forse mi tocca, ch’altrimente non so come possa esser vero ch’egli mi tocchi.

Essandro. Dico che vi vede con gli occhi.

Cleria. Come con gli occhi?

Essandro. Con gli occhi aperti, e vi tocca con le sue mani proprie.

Cleria. Lo dici per ischerzar meco; né io sarei cosí sciocca o fuori di me medema, che veggendomi innanzi e ragionandomi quello che piú della propria vita amo, io non lo conoscessi.

Essandro. Anzi, or ora vi vede.

Cleria. Forse sta nascosto qui intorno?

Essandro. Dico che vi sta innanzi come io, e vi parla come io.

Cleria. Come può esser questo vero, se qui non veggio niuno altro che te, né altri che tu mi parli? Ma dimmi, Fioretta carissima, sai tu quanto egli m’ami?

Essandro. V’ama quanto io.

Cleria. So che tu m’ami, non ne sto in dubbio; ma tu sei mal cambiata da me, che ti amo quanto si può, perché mi rassomigli tutta a tuo fratello.