Pagina:Della Porta - Le commedie I.djvu/235

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atto secondo 225


Morfeo. (Oimè, siamo incappati, ché non la sappiamo).

Panurgo. Te lo dirò. Buttati giú per questa strada, e come sei a quel cantone che ti dá in faccia, torci il collo a man dritta; e quando sbocchi in quei cessi e lordure, cala giú finché darai di petto in un uscio; poi rovescia gli occhi su, ché vedrai l’insegna della fistola: il vicolo si dice del Maltivegna, incontro la casa di Perotto Malanno.

Pelamatti. A te oh come starebbe bene questa casa!

Panurgo. Anzi a te starebbono buoni questi duo luoghi, accioché quando l’uno ti fusse venuto a noia, mutassi nell’altro fresco e senza pagar pigione.

Morfeo. (Con questa burla ha saltato il fosso, il poltrone).

Pelamatti. Poiché aspettavate me, come mi chiamo?

Panurgo. Malaventura.

Pelamatti. Mala ventura arei da vero, se te le dessi. Io mi chiamo Pelamatti.

Panurgo. Tu ti chiami cosí, per scherzo, Pelamatti, perché poco pelo metti in barba.

Pelamatti. Di che etá è questo maestro Rampino?

Panurgo. Non l’ho mirato in bocca. Ma m’accorgo che tu hai poca voglia di darmele.

Pelamatti. Perché n’hai soverchia di riceverle.

Panurgo. Come se dicessi ch’io ti volessi rubar queste vesti.

Pelamatti. Come tu lo dicessi e io me lo vedessi.

Panurgo. Altri che tu m’arebbe credito di mille scudi.

Pelamatti. Tu potresti esser tesoriero del re, che non ti arei credito di un quadrino.

Panurgo. Ancora non mi è stata fatta tanta ingiuria!

Pelamatti. Il maestro m’ave ordinato che consegni queste vesti al padrone, non che le butti via. In questa terra si fan delle burle: veggio ch’hai la febre quartana d’averle nelle mani. Ma io perdo qui le parole.

Morfeo. (Giá è tempo uscir dagli aguati).

Panurgo. Ecco il servo che ho mandato per esse.

Morfeo. Padrone, maestro Rampino m’ha detto che un pezzo fa ve l’ha mandate per Purgamatti o Pelamatti suo servo.