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142 la cintia

ardire: e giá mi brillano le mani. Ma perché vuoi far tu meco questioni?

Erasto. Accioché non passi piú per questa strada.

Capitano. La strada è mia e ci posso passar quanto voglio.

Erasto. Come tua?

Capitano. A me sta ammazzar tutti gli uomini che ci stanno e farla mia. Ma perché non vuoi tu che ci passi?

Erasto. Accioché non miri in quelle finestre.

Capitano. In quelle finestre sta Amasia mia moglie.

Erasto. Come tua moglie?

Capitano. È mia e vo’ che sia mia.

Erasto. Non è tua né sará tua, né il padre la vuol dar ad un baionaccio tuo pari.

Capitano. Io son stato or ora ragionando con lei e col padre nella sua finestra.

Erasto. Da qual finestra?

Capitano. Da quella che risponde sul vicolo. E ha riso e scherzato meco.

Dulone. Ascoltate, padrone, che ha pur detto il vero senza che glielo dimandaste.

Erasto. A te fece tanti favori dianzi suo padre?

Capitano. Il padre tiene a molto favore darlami per isposa ad ogni mia richiesta.

Erasto. Che favori ti fece ella?

Capitano. Mille basciamani e inchini con la testa e con cenni, che dimostravan apertamente che dentro brusciava tutta; e ci siamo parlati col cuore l’un con l’altra senza adoprar la lingua, che ci sarebbe stata anzi d’impedimento, vedendo ella il cor mio ed io il suo: e ci siamo partiti l’un dall’altra pieni di scontentezza.

Erasto. Dicoti che Amasia è mia moglie e giá ci siamo sposati di nascosto, e giaccio seco quando mi piace a mio bell’agio ed è giá gravida di me: e se ben devrei tacerlo per amor suo, pur lo dico accioché non passi per qua; ché, cosí facendo, tu viverai sano e a me non darai fastidio di averti a romper la testa.