Pagina:Della Porta - Le commedie II.djvu/179

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atto quarto 167

orgoglioso maschio che de una modesta femina convenevole, un tanto amore mi si è in odio converso. O povero Erasto, ingannato, burlato e aggirato per lo naso! Amo chi non so chi sia, son giaciuto con chi non conosco, ho impregnato non so che cosa; e pien d’un vano amore, non so quel che desio e sol mi resta non so come il nome di marito. Cintio me la pagherá ben sí; conoscerá quanto possa un sdegno d’un amante schernito! Poco sará se l’aprirò il petto con le mie mani e ne strapperò quel cuor malvagio e traditore; farò che il mio amar a molti ritorni amaro. O Dulone, or conosco gli avisi che tu mi davi, ch’eran d’un buon servo e amorevole! Sia io fatto in mille pezzi, se non me ne pagherá e se di lui non ne farò qualche funesta tragedia!

SCENA VI.

Balia di Cintia, Cintia.

Balia. Fermati, figlia mia, non correr con tanto impeto, frena questo pensiero con qualche ragionevol discorso, non ti lasciar cosí vincer dal dolore e dalla disperazione, perché di tante hai eletta la piú perigliosa, precipitosa e disperata rissoluzione.

Cintia. Balia mia, vorrei maledir mille volte l’ora che nacqui: deh! perché non mi soffocasti nella cuna? Qual pensi ch’or sia l’anima mia, se pur ho anima in questi affanni? Il mio male è senza conforto; però non è piú tempo di speranze o di trattenimenti. Egli non sol non mi ama, ma da lui son odiata, sdegnata e aborrita. A me è impossibile il viver senza di lui; però prima che sia d’altro uomo, voglio essere della morte. Che cagion ho di vivere? La vita m’è per ogni rispetto molesta: restando in vita, mi sarebbe il vivere piú acerbo d’ogni acerbissima morte; sarei una che morisse mille volte il giorno senza poter morire; solo nella morte può esser la mia pace e la mia requie. Onde essendo risoluta morire, tardando mi uccido prima che mora: ogni momento che tardo m’è una morte; il pensar a morire è il maggior travaglio che sia nel morire.