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206 gli duoi fratelli rivali


Don Ignazio. Presto presto, scampamo via, che non mi veggia qui ed entri in sospetto di noi.

Simbolo. Andiamo.

SCENA II.

Don Flaminio giovane, Panimbolo suo cameriero.

Don Flaminio. Panimbolo, quando vedesti Leccardo, che ti disse?

Panimbolo. Voi altri innamorati volete sentire una risposta mille volte.

Don Flaminio. Pur, che ti disse?

Panimbolo. Quel che suol dir l’altre volte.

Don Flaminio. Non puoi redirmelo? non vòi dar un gusto al tuo padrone?

Panimbolo. Cose di vento.

Don Flaminio. E udir cose di vento mi piace.

Panimbolo. Che Carizia non stava di voglia, che raggionava con la madre, che ci era il padre, che venne la zia, che sopraggionse la fantesca, che come ará l’agio parlará, fará, e cose simili. Ben sapete che è un furfante e che, per esser pasteggiato e pasciuto da voi di buoni bocconi, pasce voi di bugie e di vane speranze.

Don Flaminio. Io ben conosco ch’è un bugiardo: pur sento da lui qualche rifrigerio e conforto.

Panimbolo. Scarso conforto e infelice refrigerio è il vostro.

Don Flaminio. Ad un povero e bisognoso come io, ogni piccola cosa è grande.

Panimbolo. Anzi a voi, essendo di spirito cosí eccelso e ardente, ogni gran cosa vi devrebbe parer poca.

Don Flaminio. Il sentir ragionar di lei, di suoi pensieri e di quello che si tratta in casa, m’apporta non poco contento; e mi ha promesso alla prima commoditá darle una mia lettera.

Panimbolo. O Dio, non v’è stato affermato per tante bocche di persone di credito che non sieno persone in Salerno piú