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atto terzo 259

SCENA VII.

Don Flaminio, Panimbolo, don Ignazio, Simbolo.

Don Ignazio. Don Flaminio, son andato gran pezzo ricercandovi: voi siate il benvenuto!

Don Flaminio. E voi ben trovato! Che buona nuova, poiché mostrate tanta allegrezza nel volto? ...

Panimbolo. (Oh quanto il cuore è differente dal volto!).

Don Flaminio. ... che cosa avete degna di tanta fretta e di tanta fatica?

Don Ignazio. Per farvi partecipe d’una mia allegrezza; ché so che ve ne rallegrarete come me ne rallegro io, amandoci cosí reciprocamente come ci amiamo.

Panimbolo. (Mentite per la gola ambodoi!).

Don Flaminio. Rallegratemi presto, di grazia.

Don Ignazio. Perché, partito che fui da voi, andai in casa del conte e mi dissero ch’era andato a Tricarico e che trattava con altri dar la sua figlia, io mi ho tolto un’altra per moglie secondo il mio contento.

Don Flaminio. Non credo sia maggior contento nella vita che aver moglie a suo gusto e suo intento. Quella signora d’Ispagna che trattava don Rodrigo nostro zio?

Don Ignazio. Ho tolto una gentildonna povera ben sí ma nobilissima; ma la sua nobiltá è avanzata di gran lunga dalla sua somma bellezza, e l’un’e l’altra dalla onestá e dagli onorati costumi.

Don Flaminio. Ditelami di grazia, accioché mi rallegri anche io della vostra allegrezza; ché per aver ricusata una figlia de grandi d’Ispagna, dev’esser oltremodo bella e onorata.

Don Ignazio. È Carizia.

Don Flaminio. Chi Carizia? non l’ho intesa mai nominare.

Panimbolo. (Ah, lingua mendace, non la conosci?).

Don Ignazio. Carizia, figlia di Eufranone.

Don Flaminio. Forsi volete dire una giovenetta che nella