Pagina:Della Porta - Le commedie II.djvu/366

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354 lo astrologo


Cricca. Rido che tanto bene sei trasformato in altra forma.

Guglielmo. Che? questa è cosa degna di gran meraviglia, se i pericoli della morte tanto vicina, l’affezion della servitú che ho sofferta tra’ mori e i disagi del viaggio avrebbono trasformato altra persona della mia, che sono un povero vecchio e son piú tosto degno di pietá che di riso?

Cricca. (Mira che il vignarolo ha lasciato la bestialitá della villa e divenuto savio di cittá!). Or va’ a casa di Guglielmo a far l’effetto che devi, ché ti fo certo che sarai ricevuto per l’istesso Guglielmo.

Guglielmo. E se nella mia casa non sarò ricevuto per ristesso Guglielmo, dove spero esser piú ricevuto?

Cricca. (Ed è possibile che questa bestia non si avvegga che ancor è quel vignarolo che era prima? come sta saldo, con che riputazione sta il mariuolo!).

Guglielmo. (Io non so dove nasca questo suo riso e questo scherno di me. Fa come se non m’avesse mai conosciuto per quel che sono e quel che fui).

Cricca. Mi par che tu non lo vuoi intendere: tu sei il vignarolo, ed io lo so meglio che tu stesso non lo sai.

Guglielmo. Io non so quello che ti dica del vignarolo.

Cricca. Non sei tu dunque il vignarolo?

Guglielmo. Non sono né ci fui mai.

Cricca. Questo nieghi?

Guglielmo. Lo niego, perché è il falso.

Cricca. E pur lo nieghi?

Guglielmo. E pur lo niego e straniego.

Cricca. Non sei il vignarolo, col nome del diavolo?

Guglielmo. Son Guglielmo, col nome di cento diavoli!

Cricca. Vo’ chiamar il padrone, ché venga ancor egli a ridere un poco meco e maravigliarsi.