Pagina:Della geografia di Strabone libri XVII volume 2.djvu/22

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10 della geografia di strabone

siamo trovarci tuttora nell’oceano; ma lasciare l’oceano e trovarvici tuttavia già non possiamo. Ora Omero dice: la nave uscì dalle correnti dell’oceano e giunse nel mare, il quale non è altro che lo stesso oceano: sicchè a interpretarlo diversamente, direbbe che uscendo dell’oceano entrò nell’oceano. Ma queste cose vorrebbero più lungo ragionamento.

Che poi la terra abitata sia un’isola s’impara dai sensi e dalla esperienza. Dovunque fu dato agli uomini di pervenire sino alle estremità della terra trovarono quel mare che chiamiamo oceano: e dove al senso non è conceduto di accertarsene, lo dimostra il raziocinio: perocchè lungo il lato orientale ch’è dalla parte dell’India, e lungo l’occidentale ch’è verso gl’Iberi e i Maurusii si può navigare, ed anche lungo gran parte dei lati di mezzogiorno e di settentrione. Il restante, che noi diciamo non navigato finora perchè non mai s’incontraron fra loro naviganti partiti da luoghi opposti, non è molto1, se noi poniamo a riscontro le distanze dei luoghi ai quali siamo arrivati. Non è poi verisimile che il pelago detto Atlantico2 sia di-

  1. È per altro lo spazio di 8500 leghe marine, computando 20 leghe per ciascun grado, e senza contare il Baltico. (Ed. fr.)
  2. Eratostene e Strabone chiamavano Atlantico tutto l’oceano, e non avendo notizia dell’America supponevano che si stendesse dall’Europa e dall’Africa sino all’India, senza interruzione. - L’Autore impugna qui un’opinione d’Ipparco, il quale assegnava all’oceano due bacini isolati e senza veruna comunicazione fra loro: secondo la quale ipotesi, accolta anche da Tolomeo, non sarebbe stato possibile compiere navigando il viaggio intorno alla terra. (G.)