Pagina:Delle cinque piaghe della Santa Chiesa (Rosmini).djvu/108

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gl’interessi più esteso, più profondo, si termina ritrovando essere una verità di fatto, questo lieto principio: «Ciò che è giusto e conforme allo spirito della Religione cristiana, è anche più utile in generale al principe cristiano:» dico in generale, cioè supponendolo reso massima di stato. Applichiamo questo principio alla materia di cui trattiamo.

Un vescovo che non è eletto dal principe, sarà un mediatore tra il principe e il popolo. Il principe può interamente contare su di lui, giacchè in tutti i tempi la Chiesa cattolica ha sempre inculcato ai sudditi la dottrina «che a loro non lice ribellarsi al proprio principe per qualsivoglia cagione». Il Pastore della chiesa adunque più che sarà investito dello spirito ecclesiastico, più che sarà l’eletto della chiesa stessa, e più altresì sarà costante nell’inculcare ai popoli la sommissione, l’ubbidienza, la sofferenza anche nelle più grandi oppressioni. Il popolo penderà dai labbri di lui che gl’insegna la mansuetudine e gliene da l’esempio in cui vede un uomo imparziale, un sacerdote di Cristo che non ha altro codice che il Vangelo. Ma se i vescovi sono dati dal principe, se il popolo vede in essi altrettanti impiegati del sovrano, se li considera come parte interessata avente un medesimo interesse in solido col principe, come riceverà le loro parole? Esse perderanno tutta la forza morale; e questa forza della religione, che è pur tanta, non potrà più prestare al principe alcun servigio, giacchè quando un mediatore diventa parte, egli cessa con questo stesso d’essere mediatore. Il principe avrà bensì un sostegno politico nel clero, in quanto è divenuto una sezione della nobiltà, in quanto conta nel suo seno de’ forti proprietarî, ed ha per le sue ricchezze molte aderenze civili, ma la forza che è propria della chiesa, la forza del Vangelo, e che è di un invincibile effetto, la forza che ha la giustizia ne’ cuori degli uomini, la forza che ha Dio stesso, e che ha sottomesso il mondo, questa forza non esiste più in que’ paesi dove i vescovi son posti dai principi, e quindi il principe per avidità d’aver troppo, ha perduto il più. Bensì nasce da ciò un indicibile danno alla religione, la quale è fatta odiosa al popolo, e partecipe di tutto l’odio che le fazioni politiche possono concitare contro i principi, e in tale stato tanto è lungi che ella possa sostenere il trono, che anzi non vale nè pure più a sostenere sè stessa. Questo è ciò che abbiamo veduto avvenire in Francia a’ giorni nostri. Quel clero non ha potuto frenare il furore della ribellione di cui è stato vittima insieme co’ re di quella nazione, appunto per l’insolidarietà politica formatasi in quello stato del clero col principe, appunto perchè quel clero fu l’eletto del principe stesso. Grande e spaventevole lezione! Era pur dotto, era pur pio, era pur eroico quel clero intrepido che è caduto senza avvilirsi sotto la ghilliottina; e tuttavia nulla poteva in quella nazione per altro non insensitiva nè alle voci del cristianesimo, nè alla generosità della virtù. No, non bastarono tutte le doti più splendide: il Gallicanismo lo ha perduto: egli insegnava una religione regia: egli aveva il peccato originale, poichè la voce del re lo costituiva: bastò questo perchè fosse il segno di tutti gli obbrobrî e di tutte le amarezze di cui fu sì abbondantemente abbeverato: quell’odio non fu odio del clero, fu odio del re, che perseguitava anche nel Clero, e col Clero la Religione.

117. Si faccia un’altra riflessione. Per un conquistatore, per un avventuriere che cerca di usurpare un trono, io intendo benissimo che potrà essere utile l’aver de’ vescovi che preferiscano i beni temporali alla religione, e che vendano a lui le anime loro. Ma per un principe cristiano, riconosciuto per legittimo, io sostengo che non v’è altra utilità maggiore di quella di avere nel suo regno degli uomini spassionati, che sappiano dire a lui la verità, anche a costo d’incorrere nella sua disgrazia. Io sostengo che per un principe cristiano non si dà utilità maggiore di quella di poter ben cono-