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Però, il generale francese impose all’Incaricato di evitare il Corso ed inaspettatamente, alle 3 e mezza, la carrozza si mosse per la via del Babuino, scortata da altra in cui era un uffiziale francese, il quale andava prendendo concerti con i capi-posti dei diversi picchetti e che si appressavano più di quanto permettesse lo scopo del buon ordine e il diritto delle genti.

Pervenuto alla piazza del Popolo, alcune centinaia d’individui, al passaggio delle carrozze, rompendo le fila del cordone, si appressarono all’Incaricato, lo salutarono con levata di cappello, fazzoletti agitati in aria ed alcuni gli strinsero la mano.

Presso Ponte Molle una turba di popolo, che aveva preso posto dal mattino, all’apparire dell’Incaricato, proruppe in grida di «Viva Vittorio Emanuele, viva l’Italia», e similmente si appressò alla carrozza.

Alcuni baciarono in viso il ministro, altri gli baciarono le mani e, tra l’agitar dei fazzoletti e cappelli, assistettero alla finale partenza1.


  1. Il Comitato nazionale, dubitando che la indignazione dei romani per la grave offesa recata al governo di Vittorio Emanuele e per le disposizioni severissime date dal conte Goyon, quando ebbe notizia della dimostrazione che si preparava, facessero nascere disordini, pregò, per mezzo di Giuseppe Checchetelli e di Angelo Tittoni, il conte Della Minerva a voler anticipare di due ore la sua partenza. Vi aderì questi; ma ciò dispiacque assai agli abitanti di Trastevere, delle Regole, di Borgo e dei Monti, i quali, non potendo partecipare alla dimostrazione, se ne dolsero forte col Comitato stesso. Tuttavia, gli abitanti degli altri quartieri di Roma cominciarono presto ad affluire, pel Corso verso porta del Popolo. A tal vista, il Goyon, montato in gran