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subito che le due bestie potevano avvicinarsi andavano grattandosi l’una coll’altra, e che quando eran molto stracche, Ronzinante cacciava il suo collo a posare su quello del leardo per modo che ne riusciva un mezzo braccio dall’altra parte, e fissando ambedue gli occhi a terra stavasene a quel modo per tre giorni, o almeno fino a tanto che la fame non li spingeva a cercarsi altrove alimento. Soggiungo una cosa ancora e non più, ed è che l’autore ha lasciato scritto che nell’amicizia erano queste bestie da compararsi a Niso ed Eurialo, a Pilade ed Oreste; e se ciò è vero, resta luogo ad osservare con istupore quanto stabile dovette essere la colleganza dei due pacifici animali, a confusione degli uomini che tanto male si conducono gli uni con gli altri. Non v’è amico per l’amico, e le canne si cambiano in lance. Nè sembri a taluno che l’autore abbia deviato dal diritto sentiero paragonando l’amicizia di quelle due bestie con l’amicizia degli uomini; perchè gli uomini hanno appreso dalle bestie molti e molto importanti insegnamenti; come sarebbe a dire dalle cicogne il cristere, dai cani la gratitudine, dalle grue la vigilanza, dalle formiche la provvidenza, dagli elefanti l’onestà, e la lealtà dal cavallo.

Finalmente Sancio si addormentò sotto un sughero, e don Chisciotte se ne stette sonniferando disotto d’un’altissima quercia. Breve intervallo di tempo era scorso quando don Chisciotte fu desto da un rumore che udì dietro a sè, e levandosi impaurito e postosi ad ascoltare ed a vedere di dove procedesse, scoprì che erano due uomini a cavallo, uno dei quali abbandonando la sella, diceva all’altro: — Smonta, amico, e leva il freno ai cavalli, chè, a parer mio, qui trovasi abbondevolmente dell’erba pel loro pascolo, e qui sono la solitudine ed il silenzio che abbisognano agli amorosi miei pensamenti„. Il proferir queste parole ed il distendersi sulla terra fu tutto uno; ma nell’atto che si coricava, le armi che aveva indosso fecero rumore: dal che don Chisciotte argomentò che dovess’essere un qualche cavaliere errante.

Accostatosi a Sancio che dormiva, lo riscosse, e con non poca fatica lo svegliò; poi a bassa voce gli disse: — Fratello Sancio, abbiamo qui una ventura. — Dio ce la mandi buona! rispose Sancio. E dove sta, signor mio, la signoria di questa signora ventura? — Dove? mi domandi, replicò don Chisciotte. Volgiti, guarda e vedrai quivi prosteso un cavaliere errante, ch’io penso non debba essere soverchiamente allegro, poichè lasciatosi cadere giù di cavallo si distese per terra con non dubbii segni di animo irato; e nel cadere romoreggiarono le sue armi. — E in che trova vossignoria, disse Sancio, che questa sia un’avventura? — Non voglio dire, don Chisciotte