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CAPITOLO LI.


Del progresso nel governo di Sancio Panza,
con altri avvenimenti importanti e curiosi.



a mattina spuntò dopo la notte della ronda fatta dal governatore: notte che lo scalco passò senza chiudere occhio, tenendo occupati i pensieri nel volto, nel brio, nella beltà della travestita donzella: notte che il maggiordomo impiegò quasi tutta nello scrivere ai suoi padroni quello che Sancio Panza andava facendo e dicendo. Egli li informava per disteso della maraviglia che in lui destavano i fatti e i detti del nuovo governatore: fatti e detti ch’erano un miscuglio di saggezza e di scioccaggine. Si alzò Sancio, e per ordine del dottore Pietro Rezio fu ristorato subito con un po’ di conserva e con alquanti sorsi di acqua fresca: cose che Sancio avrebbe ben volontieri cambiate in un tozzo di pane e in qualche grappolo d’uva: ma vedendo quello che conveniva fare allora lo fece, se non per amore, per forza, non senza discapito del suo stomaco nè senza afflizione del suo spirito. Pietro Rezio andava sempre ripetendogli che le vivande scarse e delicate ravvivano l’ingegno, e che questo è quanto importa soprattutto nelle persone costituite al governo ed ai gravi uffici, nei quali non tanto occorrono le forze materiali del corpo quanto quelle dell’intendimento. Con queste sofisticherie