Pagina:Dopo il divorzio.djvu/123

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alveari, gli uccelli selvatici, i cavalli, le siepi coperte di more, tutte le cose che avevano interessato e riempito la sua infanzia infelice, ribelle, eppure rallegrata da gioie selvaggie. Ricordando lo zio, il vecchio avoltoio crudele, che l’aveva tormentato in vita, ed anche dopo morte lo tormentava così, sentiva un impeto d’odio contro il morto; poi pensava: — ora non esiste più nulla! — e si pentiva e pregava per l’anima sua.

Altri non odiava; nessuno, nessuno: neppure il vero assassino, neppure Brontu Dejas, al quale del resto non aveva ancor nulla da rimproverare; neppure il re di picche che lo martoriava continuamente. Non aveva forza di odiare. Sentiva una dolcezza triste nel sangue, come uno che sta per addormentarsi, e da questa dolcezza triste e snervata sorgeva solo un sentimento d’amore, tenero, dolce, vellutato, melanconico come il cielo d’autunno. E quel sentimento era tutto per lei, era lei. Egli pensava sempre a lei, sempre a lei, sempre a lei.

Più il tempo passava, più egli sentiva di amarla: essa era la patria lontana, la famiglia, la libertà, la vita: tutto, tutto era in lei; la speranza, la fede, la forza, la serenità, la gioia di vivere. Era l’anima sua.

Quando il crudele re di picche gli minacciava quella cosa orrenda, lo minacciava di morte. Pur di non perder Giovanna egli sarebbe rimasto volentieri quarant’anni in reclusione; e nello stesso tempo anelava la libertà appunto per non perder Giovanna.

Quell’inverno soffrì assai il freddo; aveva il volto livido, le unghie livide: nelle ore di aria si metteva