Pagina:Dopo il divorzio.djvu/195

Da Wikisource.

— 189 —


compiacendosi a destar l’eco nelle grandi stanze vuote, odorose di calce fresca.

Un momento i due uomini si affacciarono ad una finestra, il cui davanzale di pietra ardeva al sole: e siccome la casa stava in alto, apparve la visione del paesello bruno, come un mucchio di carboni spenti, sotto il velo verde degli alberi; la pianura gialla, le grandi sfingi d’un grigio violaceo dritte sul cielo ardente. La campana della chiesetta suonava, suonava, e nella quiete del meriggio, azzurro e ardente come fiamma, quel suono saltellante, fra di pietra e di metallo, pareva venir da lontano da lontano, dal cuore di quelle sfingi, ove un gigante spaccapietre lavorasse annoiato e sonnolento.

— Perchè dunque non volete sposare mia sorella? — riprese Giacobbe, affacciato goffamente al davanzale. — Questa casa sarà sua, questa sarà la camera da dormire; qui, in questa finestra, vi potrete affacciare, uccellino di primavera, potrete fumare la pipa...

— Io non fumo. Lasciami in pace, — disse Isidoro con impazienza, poichè le parole del servo cominciavano a fargli male.

— Io non scherzo, vecchia lucertola, — proruppe Giacobbe. — Ma voi siete così pezzente che non potete neppure pensare che io non scherzo.

— Senti, — disse Isidoro, — oggi tu mi hai dato da mangiare, e per così poco vuoi spassarti alle mie spalle. Ebbene lasciami tranquillo, se vuoi che io ti resti grato.

Giacobbe lo guardò fisso, si mise ancora a ridere e gli disse: