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Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/222

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talvolta le saltava il grillo di concedere a quel mezzo gobbo di suo cugino Cantelmo: altra civetteria, dicevano i maligni.

Quella sera una gran nuova correva nei crocchi e si sussurrava a mezza voce: il prossimo fidanzamento Ruffo-Monfalcone.

Tutti avevano notato da tempo la corte serrata del Ruffo, e siccome da ambe le parti si riunivano tutti i requisiti necessari: gran nome, gran censo, gran parentado, la notizia non suscitava sorpresa.

Gli adoratori della vigilia si mettevano in seconda linea aspettando gli eventi; gli intimi del Ruffo gli mormoravano passando qualche frase scherzosa a cui egli rispondeva sullo stesso tono, ma veramente seccato in fondo: seccato del ritardo di Valeria, e seccato che si fossero sparse con leggerezza delle chiacchiere che molto probabilmente avrebbe dovuto presto smentire.

Egli non aspettava nel vestibolo, ma sulla porta del salone, colle spalle alla scala. Era alto, biondo, elegantissimo; col profilo regolare, un po' allungato e un po' freddo, che gli veniva dalla madre inglese; gran sïgnore dalla testa ai piedi, avvezzo a piacere alle donne.

E Valeria saliva lo scalone al braccio di Gualtiero Cantelmo cui sorpassava per statura di tutta la testa, e si chinava, e gli sorrideva, motteggiando, stuzzicandolo, e scherzando con lui e su di lui come una bimba.

Egli le portava il ventaglio, la sciarpa, la borsetta, e levava su di lei grandi occhi timidi