Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/282

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E, senza attender risposta, cacciò gli sproni nel ventre del cavallo che partì come una freccia e s'internò nel bosco. Elmìr e gli uomini dovettero seguirla.

Il bosco era scuro, fitto, intricato e pauroso. Le foglie secche scricchiolavano sinistramente sotto le zampe dei cavalli, ma il silenzio intorno era lugubre, rotto soltanto da strane voci di uccelli sconosciuti appollaiati sugli alberi. Biancofiore precedeva la comitiva, ma di mano in mano che l'oscurità si faceva più nera ella si voltava furtivamente a misurar la distanza che la separava dai suoi compagni e una tentazione acuta la prendeva di raffrenar la corsa, di unirsi agli altri, di tornare indietro: era tanto scuro e tanto freddo, ed ella aveva molta paura.

— Se la tigre ci fosse davvero!... Se mi mangiasse!...

Ma l' orgoglio e l'ostinazione la spingevano avanti, cogli occhioni sbarrati e le mani tremanti.

A un tratto, ecco la tigre.

Tigre classica: orecchie ritte, mantello vellutato, occhi gialli fosforescenti, fauci spalancate. Tigre digiuna da quindici giorni.

Biancofiore cacciò un urlo; il cavallo fulmineamente si sbandò, fece un voltafaccia, e via, ventre a terra, in una fuga pazza e terribile. Elmìr e gli uomini sentirono l'urlo di Biancofiore e videro balenare a un tempo la fantastica forma del cavallo fuggente colla donna e il lampo sinistro degli occhi gialli della tigre