Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/293

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lunghi veli a lamine scintillanti. Erano adolescenti, quasi bimbe ancora: il seno piccolo e rigido, il corpo svelto voluttuosamente flessuoso fra il palpitar dei veli, gli occhi precocemente cerchiati di bistro. procedevano a semicerhio, nude fra i rossi fiori. Un fremito solcò la folla.

— Partiamo! — disse Elmìr risolutamente, e, seguìto da Biancofiore, intorno a cui si serrò la scorta, si diresse verso l'uscita del misterioso giardino.

La folla si aperse e si richiuse al loro passaggio come un'onda.

Raggiunsero la gran porta, la varcarono, trovarono i loro cavalli, balzarono in sella. La strada serpeggiava tortuosa tra i boschi; in fondo in fondo la città bianca pareva addormentata.

— Sai? — disse Biancofiore regolando il passo del suo cavallo su quello del cavallo di Elmìr. — Sai? Li ho guardati bene colla lente. Uno ha la bocca troppo grande, l'altro il mignolo della mano destra un po' più lungo di quello della sinistra, il terzo parla troppo, il quarto troppo poco, il quinto.... che ha il quinto?... Ah sì, forse un capello bianco... il sesto....

Non potè continuare. Fulmineamente una masnada di uomini a cavallo, incappucciati di nero fino agli occhi, era sbucata dalla macchia e li accerchiava, tra il guizzar dei pugnali.

Una voce beffarda risuonò.

— Straniero, perchè te ne fuggi misteriosamente,