Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/333

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La gattina seguiva ansiosa i movimenti del più audace dei suoi nati che tentava i primi passi fuor del giaciglio e gli altri la fissavano coi scintillanti occhi verdi.

— Io non ho nulla, — nulla!... — gattina mia! Sono sola! Nessuno mi vuol bene, nessuno! E tu, almeno tu, mi vuoi bene?

Un giorno parve ad Adelaide d'intravedere nello spiraglio dell'uscio gli occhi beffardi della Zia Zelinda; non ne era ben certa, ma l'indomani, al suo scendere nello stanzone, madre e piccini erano scomparsi.

Adelaide risalì le scale in un baleno, stringendo fra le mani la ciotola dell'acqua che s'infranse in mille pezzi sull'ultimo gradino.

In sala s'imbattè in Don Antonio che stava per uscire per la consueta messa.

— Antonio! — diss'ella con voce soffocata e rauca. — Antonio, sentimi; devo parlarti!

L'agitazione e il pallore del suo volto erano tali, che il prete comprese che non avrebbe potuto sottrarsi.

— Vieni, — diss'egli additando l'uscio del suo studio, dove nella penombra biancheggiava un gran Crocefisso d'avorio.

— No! — gridò ella come una pazza. — No!! Che mi sentano tutte! Voglio che mi sentano!... Io non posso più vivere in questo modo, Antonio!... Voi mi avete aperto la prigione, mi avete ripreso in casa, mi avete fatta una carità, è vero! Ma ora!!!... non mi fate impazzire, non mi fate morire di mille morti!!...

— Ma che cosa ti hanno fatto, Adelaide?