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Cornelio, io voglio, se la tranquillità sarà tornata in Olanda, dare ai poveri soli cinquantamila fiorini; alla fin fine non è mica poco per un uomo che non è po’ poi obbligato a niente. Allora co’ cinquantamila fiorini farò nuove sperienze; con que’ cinquantamila fiorini voglio arrivare a profumare il tulipano. Oh! se potessi arrivare a dare al tulipano l’odore della rosa o del garofano, oppure un odore affatto nuovo, che sarebbe ancor meglio. Se io rendessi a questa regina dei fiori il generico natural profumo, che ella ha perduto passando dal suo trono d’Oriente sul suo trono europeo, quello che deve avere nella penisola dell’India, a Goa, a Bombay, a Madras, e soprattutto in quell’isola, che una volta, come ci si assicura, fu il paradiso terrestre e che si chiama Ceylan, oh! qual gloria sarebbe! Amerei meglio, lo confesso, amerei meglio allora essere Cornelio Van Baerle che Alessandro, Cesare o Massimiliano.

«Che talli ammirabili!...»

E Cornelio si dilettava nella sua contemplazione e tutto si assorbiva nei sogni i più dolci; quando all’improvviso il campanello del suo gabinetto fu suonato più forte del solito. Ei trasalì, stese la mana sopra i suoi talli e si volse.

— Chi è? domandò.

— Signore, rispose il servitore, è un espresso dall’Aya.

— Un espresso dall’Aya... Che vuol’egli?

— Signore, è Craeke.

— Il cameriere di confidenza del signor Giovanni de Witt? — Bene! Che aspetti.

— Non posso aspettare, disse una voce nel corridoio.