Pagina:Economisti del Cinque e Seicento, Laterza, 1913.djvu/267

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voluttuosi. Vero è che il nome d’«indigenza» pare che strettamente importi il bisogno delle cose necessarie solamente, onde quel disiderio, che averci io d’un quadro di Tiziano, non possa dirsi propriamente ed in istretto significato d’«indigenza». Ma a chi volesse all’indigenza delle cose nel suddetto testo cosi angusti confini costituire, ben diffidi cosa sarebbe non meno salvar il detto del filosofo che determinare i confini stessi a colali indigenze, indicando sin dove s’estende la pura necessitá degli uomini, e di dove incominciano i loro disidèri stessi ad essere voluttuosi; mentre pur troppo siamo costumati a dire d’aver bisogno di tutto ciò che, non l’avendo, desideriamo, e le cose stesse ad uno possono dirsi voluttuose e superflue, che ad un altro saranno necessarie ed oneste. Anzi chi condanna talora la pompa ed il lusso, perché forse incomoda qualche famiglia che non misura i suoi disidèri con le forze, non vede sempre il danno, che a tanti altri artefici e mercanti ne risulta dal mancare il commercio di quelle cose bandite: onde, se superflua sará ad un signor particolare la spesa di tener tanti cavalli e molti paggi o di vestir ricamo sontuoso, quella spesa però si può dir necessaria a quei tanti artefici e povere genti che di quelle spese si mantengono, ed a quei mercanti che di quel traffico vivono e danno il vivere a molti. Diogene trovò superflue tante cose, che volle che gli bastasse per palazzo una botte e per tazza da bere il concavo della mano: ma egli però campava a spese d’altri, che dal commercio traevano il vitto per sé e per lui; e se tutti l’avessero imitato, averebbe forse spiaciuto a lui ancora l’andar a cogliersi di sua mano le ghiande. Volle dunque intendere in questo luogo Aristotile, non dell’indigenza delle cose necessarie solamente, ma d’ogni disiderio, che ci move a dare stima alle cose e misurar il loro valore col soldo. E queste considerazioni mi hanno reso facile a sottoscrivere l’opinione di Bernardo Davanzali, che nel luogo sopraccitato si sforzò di provar che tutte le comoditá degli uomini, che sono fra loro in commercio, comprese insieme, tanto vagliono quanto l’oro, l’argento ed il rame coniato, che pure fra loro corre in commercio.

Economisti del Cinque e Seicento. 17