Pagina:Economisti del Cinque e Seicento, Laterza, 1913.djvu/310

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lire, a’ tempi di Fabio Massimo dittatore fu valutato sedici iissi, restandogli nondimeno il nome di «denaro»; e però il quinario non cinque, ma otto lire valeva, ed il sesterzo non piú due lire e mezza, ma quattro lire o sia assi di rame si prezzava. Ed ecco come il sesterzo e gli altri, anzi le lire stesse diventarono immaginarie; perciocché, sebbene erano cosi nominate, non contenevano però piú quel valore né quel peso che il loro nome indicava. Giá l’asse di rame, che pesò a principio una lira, era ridotto solo a mezz’oncia, e nondimeno «libbra» chiamavasi ; e il denaro d’argento, che doveva valer dieci, era passato a i6 lire. Ridotta dunque la lira a questa immaginaria denominazione, che dubbio v’ha egli che chi avesse avuto una delle antiche lire di rame, che 24 delle piú moderne ne conteneva nel peso, poteva computarle 24 lire immaginarie, cioè 24 di quelle correnti, che non erano piú vere lire, ma mezz’once? Anzi, quando furono finalmente fatti gli assi quadrantali, cioè d’un quarto d’oncia l’uno, poteva un antico asse, di vero peso di una libbra, valerne 48 di nuovi ; e, se avesse portato il corso del commercio che molto argento sortisse dall’imperio romano, comeché gli esteri non averebbono valutato a quella proporzione il loro rame battuto, li mercanti romani averebbero pagato il denaro d’argento non solo sedici, ma venti e piú libbre di rame, contate però d’un quarto d’oncia l’una, e perciò immaginarie.

Potrei però nello stesso modo esaminare le monete d’oro paragonate a quelle di rame e a quelle d’argento, e far vedere come il solido, oggi detto «soldo», fu pur una moneta d’oro, settantadue de’ quali una libbra romana facevano (onde pesavano 106 grani l’uno incirca, a peso romano, in tempo di Valente € di Valentiniano imperadori); che a poco a poco, passando per cento e mille vicende di leggi, nazioni e domini, è divenuto moneta immaginaria, anzi nudo nome applicato a diverse monete basse, che, sotto nome di «soldo», quasi per tutta l’ Italia e nella Francia corrono, con valute fra loro ed in ordine all’interna bontá sproporzionatissime; altro essendo il soldo di Venezia da quello di Milano e da quello di Firenze e di Piemonte, da quelli