Pagina:Elogio della pazzia.djvu/77

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gli animali, che gode il privilegio di imparare le arti e le scienze, per supplire colle sue cognizioni al difetto della natura; come se abbia apparenza di verità, che la natura, si provvida e vigilante nella zanzara, e perfino nelle erbe e ne’ fiorellini del campo, siasi poi addormentata pel solo uomo, trascurando di fornirlo di tutto ciò che fosse a lui necessario? Ah non può darsi! Quelle scienze, quelle arti, che voi tanto decantate, no, non sono l’opera della natura; fu un certo genio, chiamato Teuto1, grande nemico del genere umano, che per somma disavventura degli uomini le ha inventate: imperocchè non che le scienze conferiscano a quella felicità, per cui si pretende che siano state ritrovate; sono anzi estremamente nocive. Era veramente di buon naso quel re saggio e prudente2 che con tanta finezza, secondo Platone, biasimava l’invenzione dell’alfabeto.

Diciamo pure francamente, che il sapere e l’industria si sono intruse nel mondo come tutte le altre pesti della vita umana, e che sono state inventate da quegli spiriti medesimi, che furono gli

  1. Del quale così favella Socrate presso Platone: «Ho udito dire che in Egitto vi fosse uno de’ primitivi dei, a cui era consacrato l’uccello chiamato Ibi. Questo demone, o dio, appelavasi Teuto, e fu l’inventore della geometria, dell’astrologia, dell’alfabeto, ecc. Thamus regnava in quel tempo su tutto l’Egitto; Teuto andò a lui, gli insegnò le sue invenzioni e gli disse che bisognava apprenderle agli Egizii.
  2. Presso Platone nel luogo succitato, si legge altresì che avendo Thamus chiesto a Teuto di quale utilità poteva essere l’invenzione dell’alfabeto, Teuto rispose: Gioveranno ad alleviare la fatica della memoria. — Al contrario, soggiunse il re, poichè gli uomini, col sussidio delle lettere dell’alfabeto, ogni cosa affideranno alla carta, più nulla serberanno in mente.