Pagina:Emma Perodi - Roma italiana, 1870-1895.djvu/140

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vino osservazioni a mio carico, sia da parte sua, sia di altri divenuti talmente stucchevoli da fare profezie e minaccie, insultando così coloro che non credono essere del proprio colore ed innalzando quelli per i quali scrivono; cosi, se questo caso si presentasse, dichiaro colla presente che intendo di aver risposto a chiunque è piaciuto e piacesse ancora criticare il mio modo di agire, minacciare e profetizzare. Assicuro poi si Lei che tutti i detti signori, che se mi si presentassero occasioni eguali a quelle che mi si sono presentate ultimamente, tornerò a fare ciò che ho fatto, convinto come sono della regolarità del mio modo d’agire, e dell’approvazione di persone collocate in un grado molto superiore al loro.

«La invito di nuovo ad inserire in un primo nuniero del suo giornale questa mia, e la riverisco.


A Garibaldi durante questo soggiorno a Roma non mancò nessun onore. Anche il Principe Reale andò a visitarlo, e il Municipio fecegli coniare una medaglia d’oro a perpetua memoria della difesa da lui fatta della città nel 1849.

E non solo tutti gli italiani andavano a riverirlo, ma anche gli stranieri, ai quali esponeva i suoi disegni di lavori. Un certo signor Potter, inglese, andò a visitarlo e dopo averlo ascoltato, disse che il canale del Tevere doveva portare il nome di Garibaldi; «No, di Vittorio Emanuele» rispose il generale.

Un gran desiderio di pace gli era entrato nell’anima dopo il suo arrivo a Roma vedendosi circondato dal rispetto degli uomini appartenenti a tutte le frazioni del partito liberale. Egli non si stancava di raccomandare la calma e l’ordine e ogni dimostrazione lo turbava, perchè temeva che terminasse con qualche disordine. Anche verso Pio IX non aveva nessun risentimento e si vuole che un giorno guardando il Vaticano, dicesse: «Povero vecchio! È dal 1870 che non si muove di là; lasciamolo in pace».

Insisto appunto nel registrare queste manifestazioni pacifiche di Garibaldi, questa grande indulgenza che dimostrava per tutti, anche per Achille Fazzari, col quale si riconciliò e che un tempo credeva lo avesse abbandonato, anche per la Francia che gli si era mostrata così poco riconoscente, perché ritengo che solo i caratteri veramente grandi si facciano con l’età così mansueti e dolci, mentre quelli meschini e cattivi acquistano maggiore acrimonia.

Garibaldi non era più tornato alla Camera, ma vi torno per appoggiare i disegni di legge sulla marina, presentati dal ministro Saint-Bon, per il quale aveva amicizia sincera e grande stima.

Quando il generale entrò nell’aula, il ministro appunto dimostrava la necessità di disfarsi delle vecchie navi. Garibaldi si alzò, sorretto dagli amici, si tolse la papalina, che il presidente gli aveva permesso di tenere, e sedutosi di nuovo, disse rivolto a Saint-Bon:

«Mi associo interamente al suo duplice progetto. Per me vendere le navi inservibili è la cosa più logica del mondo. Credo l’on. Ministro della marina l’uomo il più competente in questa materia, poiché io, quantunque vecchio marinaio, confesso di non conoscere quali sono le condizioni delle nostre navi.

«Mi associo pure, come già dichiarai, al secondo progetto del ministro, quello di costruire delle corazzate potenti come si fa in Inghilterra, in Germania, in Russia e in America.

«Noi, quasi isolani, abbiamo bisogno di potenti navi per proteggere le nostre coste e principalmente le nostre principali linee ferroviarie, le quali sono quasi tutte litoranee. In questo credo debbano convenire tutti i nostri onorevoli colleghi. Ho finito (Applausi; si alza per uscire)».


Dopo queste parole, dopo l’esposizione chiara, eloquente che il ministro aveva fatto dei suoi criteri sulla quistione di rifare la marina, dopo l’appoggio datogli dal de Amezaga, altro valente