Pagina:Emma Perodi - Roma italiana, 1870-1895.djvu/164

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Nel suo ufficio al ministero aveva fatto praticare una porta, che metteva su una scaletta segreta. Da quella salivano da lui gli agenti segreti, che non voleva s’incontrassero con i deputati o con le altre persone che lo visitavano. A quella porta vi era un campanello elettrico, che rispondeva nel gabinetto del ministro. Appena il campanello squillava, il Nicotera congedava chiunque fosse da lui e andava da se ad aprire. Così poteva ricevere chi voleva, senza destar sospetti nè far nascer pettegolezzi. Egli voleva saper tutto e vi riusciva. Era informato anche esattamente di tutto quello che avveniva negli altri ministeri e dentro il Vaticano.

Prima delle elezioni, che dovevano farsi in novembre, egli andò a Caserta e pronunziò un discorso, annunziando la riforma elettorale, ma non promise che sarebbe stata attuata subito.

Il Depretis quasi contemporaneamente ne pronunziò uno a Stradella e andò più oltre del Nicotera, forse perchè fra l’uditorio vi era Benedetto Cairoli, che egli non voleva disgustare. Si disse che vi era dissidio fra il presidente del Consiglio e il Nicotera e forse era vero, perchè il Nicotera era intollerante di qualsiasi autorità, e spesso faceva di sua testa, senza curarsi della opinione del Depretis. Quei due uomini avevano educazione troppo diversa per capirsi.

Il discorso di Stradella, ebbe per Roma una singolare importanza, perchè in esso il Depretis annunziò che si sarebbe subito attuato il progetto dei lavori del Tevere, e che il Governo avrebbe aiutato finanziariamente Roma negli altri lavori edilizi. La speranza negli aiuti governativi aveva tenuto da diversi anni sospesa Roma.

Il Sella, nel discorso che fece alla associazione costituzionale romana, difese l’operato del suo partito rispetto a Roma. Egli disse anzi, ripetendo una frase felice, che ne aveva voluto fare il cervello d’Italia e per questo appunto era nata la gelosia del Peruzzi e dei toscani, che aveva portato al voto del 18 marzo.

Le elezioni generali sospesero naturalmente per un certo periodo di tempo la vita italiana. I partiti erano intenti a radunare le forze e nessuno occupavasi d’altro che di ordinarle, affinchè si accingessero alla lotta. Alla vigilia delle elezioni, la Gazzetta d’Italia pubblicò la famosa autobiografia del Nicotera, che essa chiamava beffardamente l’Eroe di Sapri. Il giornale fu sequestrato, sequestrato il Cittadino Romano, che avevala riprodotta. Il ministro dell’interno dette querela alla Gazzetta e scelse per suo difensore l’avvocato Puccioni, uno dei toscani dissidenti di destra, il Pancrazi prese l’avvocato Andreozzi e s’impegnò quella lotta terribile che costò al giornalista di Cortona la prosperità del giornale, che era fino allora il più diffuso d’Italia, e la propria per conseguenza. Il Pancrazi, dopo una serie di dolorose vicende, è morto all’ospedale di Santo Spirito nel 1893, senza che il Nicotera avessegli mai perdonato.

A Roma il partito del Governo portava Garibaldi, Ratti, Guido Baccelli, Ranzi e Pianciani; l’altro Garibaldi pure, Samuele Alatri, Bosio di Santa Fiora, Augusto Ruspoli e il conte Giacomo Lovatelli. La prima lista uscì dalle urne intera e lo stesso avvenne quasi ovunque. La vittoria del ministero fu completa, ma l’ingerenza governativa non era mancata certo; il Nicotera, dopo aver messo a capo di ogni prefettura creature sue, si era ingerito, molto più dei precedenti ministri dell’interno, per il trionfo dei suoi candidati.

Per festeggiare la vittoria si voleva fare a Roma una dimostrazione al grido di «Viva il Re! Viva Garibaldi!» e v’era stato un invito per riunirsi in piazza Venezia recando fiaccole la sera del 13 novembre, ma il Nicotera non vedeva di buon occhio le dimostrazioni, e fece dire da Menotti Garibaldi agli intervenuti di sciogliersi.

Presidente della nuova Camera fu eletto Francesco Crispi. Si vuole che una vecchia ruggine