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poco non distrusse la sede della prefettura. Il corpo dei vigili accorse, ma l’acqua mancava, e si dovette prenderla dal palazzo Torlonia. Il principe si adoprò efficacemente per sedare l’incendio, ma i vigili avevano scarse e cattive macchine, e senza l’aiuto dei soldati non avrebbero potuto circoscrivere il fuoco. Nonostante i danni furono ingenti e moltissime carte importanti andarono distrutte.

Il Governo non voleva dimostrazioni, il Municipio non ne prendeva più l’iniziativa, cosicchè quell’anno la commemorazione di Porta Pia fu sfruttata dai repubblicani per manifestare le loro idee.

La sera il popolo voleva l’inno e la marcia reale a piazza Colonna, ma la musica del 40° fanteria, che suonava, aveva ordine di non contentarlo. Il popolo gridava reclamando quei due pezzi, e la banda rispondeva con un pot-pourri della Contessa d’Amalfi. Allora li per li si formò una dimostrazione e si diresse verso piazza Navona, sperando di trovarvi un capo-banda meno sordo alle grida. Ma anche là non ottenne nè inno nè marcia. La folla allora andò sotto il vicino palazzo Braschi a gridare: «Abbasso Nicotera! Abbasso Rabagas!».

Il ministro dell’interno fu non certo lusingato dai quei gridi e per evitare che si ripetessero ordinò al Municipio che facesse sempre incominciare il programma dei concerti comunali con la marcia e l’inno, e ottenne l’effetto voluto. Il popolo si stancò di quella musica quotidiana e non andò più a palazzo Braschi.

Con insolita affluenza di visitatori si commemorò quell’anno l’eccidio della casa Aiani. Sfilarono per la Lungaretta più di 30,000 persone per vedere le lapidi che erano state apposte sulla facciata a memoria dei morti, ma l’ordine non fu punto turbato. Quando il Nicotera voleva, sapeva farlo rispettare.

Verso la fine di ottobre si dimise il sindaco Venturi per una questione a proposito del bilancio. Da più tempo egli capiva di non aver più dalla sua la maggioranza del Consiglio, e un mese dopo prese a funzionare da sindaco don Emanuele Ruspoli, il quale dovette applicare subito la legge sulla istruzione obbligatoria nel comune di Roma.

Intanto si erano fatte le elezioni per la Giunta Provinciale, sciolta improvvidamente dal prefetto, e dalle urne uscirono eletti otto clericali, cioè, i principi Borghese, Bandini e Aldobrandini, il conte di Campello, il marchese Merighi, il Fontana, il Marucchi e il de Rossi. La divisione fra i liberali aveva dato questo risultato.

Alla vigilia della riapertura del Parlamento, lo Zanardelli, ministro dei lavori pubblici, si era dimesso per gravi dissensi col Presidente del Consiglio rispetto alle convenzioni d’appalto con le nuove società Mediterranea e Adriatica, che assumevano l’esercizio delle ferrovie.

Il Pasquino pubblicò allora una parodia del Canto dantesco del Conte Ugolino, che diceva:

«La penna sollevò dal rio contratto
Sua Eccellenza scior Peppe Zanardelli
E disse: Io non lo firmo a nessun patto».


L’uscita dello Zanardelli dal Gabinetto, fu la rovina del Ministero. Il Cairoli col suo gruppo si staccò alla prima battaglia, dal Ministero. Questa fu impegnata contro il Nicotera per sequestro di telegrammi.

Il ministro dell’interno volle un voto di fiducia e a stento raccolse una maggioranza di 20 voti. Con una maggioranza anche minore di quella, il Depretis negli anni successivi è rimasto di