Pagina:Emma Perodi - Roma italiana, 1870-1895.djvu/249

Da Wikisource.

— 237 —

«Credo che siamo tutti d’accordo che, per toglierlo, tutti gl’interessi debbono esser rappresentati nel governo della cosa pubblica: nel volere pertanto il voto universale e l’abolizione del giuramento politico, acciocchè tutte le opinioni abbiano una voce in Parlamento;

«nel voler soppresse le guarentigie, tolto il culto ufficiale, e indivisa la sovranità dello Stato; «assicurate tutte le libertà come diritti inconcussi;

«rimaneggiato il sistema tributario, a ciò che paghi solamente e progressivamente chi ha;

«rotta la centralizzazione e avviato un sistema di centrale decentramento;

«armata la nazione, per essere in grado di liberare le provincie irredente;

«arati e bonificati i due quinti del territorio italiano incolto o paludoso, fecondandolo con i 115 milioni dei beni ecclesiastici invenduti;

«utilizzati a pro dei poveri i 2 miliardi delle Opere Pie, godute in parte dagli amministratori, dai frati e dalle oblate;

«guarita con tutti i rimedi che ispira l’affetto e suggerisce la scienza, la gran piaga della miseria;

«proporzionata l’autorità del potere legislativo e dell’esecutivo.

«E per ottenere questi risultati è necessario rivedere lo Statuto, insufficiente e inferiore ai nuovi bisogni della patria, a ciò che ella si regga, non con una carta largita trent’anni addietro a una sola provincia, ma posi e stia sovra un patto nazionale.

«A me pare che queste siano le principali idee sulle quali non corre divario fra noi.

«Principiamo col far trionfare quella che le contiene tutte e dalla quale tutte deriveranno: il suffragio universale e l’abolizione del giuramento.

«Perciò propongo il seguente ordine del giorno:

«L’assemblea delibera di determinare come oggetto del lavoro in comane della democrazia repubblicana e parlamentare, l’agitazione con la stampa e con i comizi popolari, per il suffragio universale e l’abolizione del giuramento politico, avendo in animo che alla patria possa venir fatto di stabilirsi e rassodarsi con un patto nazionale, e nomina un comitato di persone la cui sede centrale è in Roma, incaricato di eseguire la presente deliberazione».


Su quest’ordine del giorno si aprì la discussione e parlarono Garibaldi, Mario, Campanella, Verzania, Bertani e Cavallotti. L’ordine del giorno fu poi votato all’unanimità, meno sette astensioni. Fu pure votato un indirizzo proposto da Alberto Mario agli scenziati raccolti a festeggiare il 50° anniversario della fondazione dell’Istituto Archeologico tedesco, e dietro proposta di Matteo Renato Imbriani fu inviato un saluto ai fratelli irredenti.

Dopo questa assemblea il general Garibaldi rivolse il seguente manifesto agli Italiani:

«Il fascio della democrazia è formato:

«Mi giova che questo fatto importante, lungamente desiderato e studiato, siasi compiuto sotto gli occhi miei, il 21 aprile.

«Cospicui patriotti di ogni classe, nobili ingegni - decoro del nostro paese - i quali s’illustrarono nel preparare e nel comporre ad unità di nazione l’Italia dal 1821 in poi, militano nel campo della democrazia, e vi milita la gioventù generosa.

«E come alla democrazia riuscirà fatto di spandere la sua influenza con l’agitazione che essa verrà promuovendo per la rivendicazione e l’esercizio effettivo della sovranità nazionale, per il men aspro vivere dei diseredati della fortuna, per la giustizia sociale, per la libertà inviolabile, una moltitudine di cittadini egregi, che assistono sfiduciati e increduli al governo delle minorità, le quali si succedettero e si esaurirono entro venti anni, s’aggiungerà certamente e rapidamente alle sue schiere.

«Oggimai la democrazia è un valore di primo ordine fra i valori costituenti la nazione, è una potenza con cui quelle minorità, di buon grado o di mala voglia, hanno a fare i conti. Le sue varie