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Dopo la seduta della Camera, Roma fu tutta agitata dalla tremenda notizia. Si sapeva che le compagnie non erano scarse di uomini, dunque le perdite dovevano ascendere a circa 500 soldati se tre di esse si davano come distrutte, e soltanto 90 erano i feriti ricoverati a Massaua. Eppoi fra quei soldati vi dovevano essere molti romani, e questo fatto accresceva la compassione per le vittime. La sera vi fu una lunga dimostrazione a piazza Colonna.

Il giorno seguente, prima che incominciasse la seduta, la piazza Montecitorio era gremita di gente e in prima linea erano i coccapielleristi, i quali vedendo il tribuno, lo circondarono accompagnandolo fino al Parlamento e prendendo per buone le promesse che faceva alla folla di «stritolare il Gabinetto».

L’on. Biancheri aveva nominato subito la commissione per il credito dei cinque milioni, la quale aveva eletto a suo presidente il Crispi. Fra i deputati era corso l’accordo di non negare il credito, ma di biasimare il Governo, e appena la seduta fu aperta il ministro degli esteri fu interpellato dall’on. Cavallotti. Robilant si sentiva dalla parte del torto per le dichiarazioni antecedenti e con dolore dovè ritirare le infelici parole dei «quattro predoni». Egli aggiunse che aveva bisogno di un voto di fiducia per continuare il suo compito.

L’on. Depretis nel corso della discussione sul credito, che l’on. Spaventa insisteva perchè fosse accordato senza discutere, fece appello al patriottismo della Nazione e disse che essa non doveva lasciarsi soverchiare dallo scoraggiamento. L’on. Crispi pure esortò i deputati e il paese a dominare il cordoglio. «Il nostro dovere — soggiunse — è rimaner calmi, non dissimulare le difficoltà, valutarle. Forse l’avvenire prepara altre occasioni per provare che il valore italiano non è morto».

L’on. Crispi inoltre esortò il presidente del Consiglio a non porre la quistione di fiducia, ma il Depretis la volle posta, ed ebbe soltanto 34 voti di maggioranza, mentre i crediti furono accordati con 317 voti favorevoli e 13 contrari.

Anche il Senato votò subito i crediti.

Erano pochi giorni appena che il Depretis aveva chiesto un altro voto politico sul bilancio dei lavori pubblici e aveva avuto 75 voti; il fatto di Dogali aveva dunque scossa la posizione del Gabinetto e subito si disse che il conte Robilant aveva dato le dimissioni.

Mentre nell’aula di Montecitorio si discuteva e si votava, sulla piazza la folla era cresciuta tanto e il tumulto e i gridi contro Depretis eransi fatti così alti, che le guardie e i carabinieri non riuscivano a ristabilire l’ordine. Furono fatti venire i bersaglieri da San Francesco a Ripa, che chiusero tutti gli sbocchi e respinsero la folla al di là di piazza Colonna, ma dietro a loro la folla facevasi sempre più fitta e più turbolenta. Quando fu tolta la seduta, Coccapiellier, che era atteso dai suoi, li arringò. Passavano alcuni deputati, i quali nell’udire tante fanfaronate, dissero «Basta». Quella parola fece crescere il tumulto, che durò fino ad ora tarda.

Il giorno dopo la Camera era in apparenza tranquilla e votò l’istituzione di una cattedra dantesca a Roma, su proposta del Bovio, ma nei corridoi i deputati già tenevano conciliaboli sulla caduta del Gabinetto, ed essi al pari dei cittadini, erano ansiosi di leggere i telegrammi d’Africa, che si facevano molto attendere.

Il Consiglio comunale, dietro proposta del duca Torlonia, inviava una lettera al presidente del Consiglio contenente un saluto ai soldati lontani; si aprivano sottoscrizioni per soccorrere i feriti e le famiglie dei morti; e la Croce Rossa preparavasi a mandare a Massaua un suo riparto. La pietà per quei martiri lontani era grandissima.