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della guerra solleciti rinforzi, ma il Ras ha già abbandonato Ghinda e avanza su Saati e lo attacca lo stesso giorno. Il 26 avvenne il disastroso scontro di Dogali. Il Genė il 29, in un rapporto al Governo, ne riferiva i particolari e proponeva un’azione offensiva occupando i Bogos e magari l’Asmara, e il ministro Depretis rispose:

«Il Governo si riserva di provvedere se e quando lo crederà conveniente, tenuto conto degli altri gravi interessi dello Stato».

Il 4 maggio 1887 il Governo notificò alle potenze il blocco del mar Rosso, mentre apriva le trattative con l’Inghilterra per la delimitazione delle frontiere tra Suakim e Massaua. Dopo lunghi negoziati si viene ad un accomodamento, e in una conversazione del nostro ambasciatore a Londra con Lord Salisbury parlando dell’Africa, questi con molto tatto propose una mediazione inglese per comporre il dissidio e ristabilire amichevoli relazioni tra l’Italia e l’Abissinia, poichè sembravagli che si potrebbero avviare relazioni commerciali con l’interno e Massaua potrebbe prendere un grande sviluppo, con evidente vantaggio degli interessi italiani. Corti non disse nè si nè no, Salisbury tornò alla carica e comunicò all’ambasciatore una lettera del Negus alla regina Vittoria, nella quale egli si lamentava della condotta del Re d’Italia. Il Depretis rispose che l’Italia non avrebbe certo fatto il primo passo e che: «è d’uopo che il Negus chiegga la pace e si sottometta alle nostre esigenze, ridotte, ben inteso, ai limiti più ragionevoli». Salisbury insistette, ma Catalani, reggente l’ambasciata, gli fece notare che bisognava tener conto dell’opinione pubblica d’una Nazione giustamente irritata.

Il gabinetto inglese continuò i tentativi per indurre l’Italia ad accettare la pace, e finalmente il 29 ottobre 1887 S. E. Crispi telegrafava a Londra:

«Signore incaricato d’affari,

«Riferendomi al telegramma del 28 indirizzatomi dal signor conte Corti e benchè il nostro pensiero sia noto a cotesta ambasciata sino dal 12 ottobre, fo seguire ridotte al minimum le condizioni sotto le quali il Governo italiano potrebbe accondiscendere a tornare in pacifici rapporti coll’Abissinia:

«1° il Negus esprimerà il suo vivo rammarico per l’ingiusto attacco dello scorso gennaio;

«2° Saati ed Ua-a rimarranno definitivamente acquisite all’Italia, con una zona al di là di almeno una giornata di marcia. Ghinda diverrà città di frontiera dell’Abissinia. La valle d’Ailet passerà nel possesso, o almeno sotto il protettorato dell’Italia. La frontiera sarà tracciata di comune accordo con l’intervento dell’Inghilterra e indicata sul terreno per mezzo di pali;

«3° il Negus riconoscerà il protettorato dell’Italia sugli Assaorta e sugli Habat;

«4° l’Italia d’accordo con l’Inghilterra occuperà la regione del Senahit;

«5° un trattato di pace, d’amicizia e di commercio sarà firmato tra l’Italia e l’Abissinia.

«Quanto all’impegno di sospendere le ostilità fino al ritorno, nello scorcio di novembre, del signor Portal, mi riferisco ai precedenti telegrammi e dispacci.

«Crispi»



La missione Portal fallì e seguono fatti di poca importanza fino al marzo 1888, nel quale il Negus sceso coi suoi eserciti fino a pochi chilometri dai nostri forti, dirigeva il 26 marzo una lettera al San Marzano, nella quale egli, «profeta mandato da Dio, re di Sion, re dei re d’Etiopia» si lamentava che gli italiani non avessero osservato il trattato che gli inglesi gli avevano fatto fare con gli egiziani per Massaua, ed invitava il generale a ritirarsi, ad abbandonare l’Abissinia, e a lasciare il porto di Massaua aperto ai negozianti come una volta, e domandava così la pace.

Il San Marzano non rispose subito, perché aspettava istruzioni da Roma e Johannes gli scrisse