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Grande fu il rimpianto per quella morte, e appena si conobbe in città, donna Lina Crispi e la figlia accorsero in casa de Zerbi, e coprirono di fiori la salma dell’amico.

Nessuno voleva ammettere che Rocco de Zerbi fosse morto naturalmente. Si diceva che egli, vedendosi perduto dopo l’interrogatorio al quale era stato sottoposto, avesse preso una dose così forte di quella digitale, con la quale sosteneva le forze del cuore, da farselo scoppiare. Questo credevano e credono molti amici. Il popolino invece diceva che non era morto, che aveva preso una qualche medicina per cadere in una specie di sincope, dalla quale si sarebbe destato in seguito, per poter fuggire, senza destare sospetti; e un giornale di Roma stampò in seguito anche la storiellina dei fori lasciati n. lla cassa per farlo respirare.

Queste erano fiabe. Rocco de Zerbi era morto, naturalmente, di crepacuore e il trasporto della salma, al quale parteciparono i colleghi della Camera e moltissimi amici, riuscì spettacolo ancor più straziante per il dolore che il figlio, Domenico, non sapeva dominare.

La seduta della Camera del giorno 22 febbraio fu di nuovo tutta spesa in discussioni bancarie per una controversia sorta fra il presidente del Consiglio e l’on. Crispi, il quale sosteneva, citando i suoi appunti, che il Giolitti, dopo aver letto nel giugno 1890 la relazione Biagini, avea detto che i fatti della Banca Romana erano degni di corte d’Assise.

Ai primi di marzo fu arrestato l’Agazzi, coinvolto nel processo della Banca, e il 20 l’on. Giolitti presentò la relazione del senatore Finali, alla quale era unito un plico, il famoso plico, con l’elenco delle sofferenze bancarie. Egli domandò che l’esame di esso fosse deferito a una commissione composta di cinque deputati per indagare e decidere se vi potesse essere qualche fallo che ledesse il decoro e la delicatezza dei componenti l’assemblea elettiva.

Il giorno seguente la Camera votò all’unanimità un ordine dei giorno Guicciardini, accettato dal Governo, che portava a sette il numero dei membri del comitato destinato ad esaminare le responsabilità politiche e morali, e affidava la scelta di quei membri al presidente della Camera.

Questo voto, concentrando in un comitato di poche e autorevoli persone il mandato di tutelare il decoro della Camera, sottraeva al Parlamento e alla piazza una quistione che turbava l’opinione pubblica e il mondo politico.

L’on. Zanardelli accettò a malincuore l’incarico. Egli nominò membri del comitato inquirente gli on. Bovio, Chiapusso, Falconi, Mordini, Nasi, Pellegrini e Rubini, ma dovette procedere a nuove nomine perchè Chiapusso, Nasi, Rubini e Falconi non accettarono. Egli li sostituì con gli onorevoli Fani, Paternostro, Sineo c Suardo Gianforte.

Intanto l’on. Giolitti aveva presentato il progetto per il riordinamento delle Banche e chiedeva che fosse preso tempo a discuterlo fino al 30 giugno.

Quel disegno di legge autorizzava la fusione della Banca Nazionale del Regno con la Banca Nazionale Toscana e la Banca Toscana di Credito, per costituire il nuovo istituto di emissione, che doveva assumere il titolo Banca d’Italia. Questa doveva avere un capitale nominale di 300 milioni diviso in 300,000 azioni. Il capitale versato dei tre istituti suddetti, ascendente a 176 milioni era portato a 210 entro tre mesi dalla pubblicazione della legge.

La Banca d’Italia assumeva la liquidazione della Banca Romana, restando a suo carico tutto il passivo della Banca stessa, compreso il totale dei biglietti in circolazione, entro i limiti della somma accertata al 10 gennaio 1893; a suo favore tutto l’attivo della Banca stessa.

La facoltà di emettere biglietti era accordata alla Banca d’Italia e confermata ai Banchi di Napoli e di Sicilia per un periodo di venti anni. Alla Banca d’Italia era accordata la facoltà di tenere in