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valente nel Vaticano, e al quale avrebbe forse prestato fede, se avesse avuto ventidue anni di meno, come quando chiese ospitalità a Gaeta al Re di Napoli. Ma i vecchi temono ogni cambiamento materiale e, come gli alberi annosi gettano radici tanto più profonde nel suolo, quanto meno ricchi sono i loro rami. E così il consiglio di Antonelli e di Randi prevalse contro l’altro di de Merode, e il Papa rimase. Ogni tanto si parlava di partenza, ma erano voci sparse per dare a credere che la situazione del Pontefice non fosse tollerabile; erano minacce tendenti a rinfocolare gli animi dei fedeli e a commovere quelli dei dubbiosi e degli incerti.

Certi documenti del Vaticano peraltro facevano brutta impressione qui e altrove, come, per esempio, la nota-circolare del cardinale Antonelli alle potenze sui fatti del giorno 8 dicembre e di successivi. Il pettegolezzo e la bile erano le due note dominanti in quella circolare, e anche che l’idea fondamentale di essa fosse stata imposta da una volontà superiore, nel redigerla il cardinale segretario di Stato avrebbe potuto darle una intonazione più alta e meno aspra. Quella circolare prova che l’Antonelli, se era stato capace di guidare gli affari della Santa Sede in momenti più facili, era inetto assolutamente a dirigerli nei tempi che volgevano, perchè dimenticava il posto acquistato dall’Italia in Europa in poco volger di anni, e il prestigio che essa esercitava non solo sui Governi, mia sui popoli, le cui simpatie non potevano essere disprezzate da chi li governava.

Il primo fatto importante dell’anno 1871 fu appunto il processo contro Angelo Tognetti e Leopoldo Valentini, arrestati nei tumulti del giorno 8 dicembre in piazza San Pietro. Era difeso il primo dall’avvocato Carancini, il secondo dall’avvocato Federico Pugno, giornalista napoletano di molto ingegno, che poi morì nel 1881, e dall’avvocato Aperti. Presiedeva il tribunale il Liverani e funzionava da pubblico ministero il cav. Felici. Parte civile si erano costituiti Oddo, Bruschi, Ruffini, Cave ed i due fratelli Bersani, uno dei quali era stato ferito da un colpo di revolver, e gli altri feriti pure, ma più leggermente.

Tognetti e Valentini furono assolti per mancanza di prove, e al solito, come in tutti i processi nei quali due partiti avversi si trovano di fronte, non fu bene accertato chi dei due avesse provocato: se i papalini con lo scegliere la festa della Concezione, cara al Papa, per recarsi a frotte al Vaticano, o i liberali coll’adunarsi sulla piazza, con l’intento d’invigilare le mène dei loro avversarii. Fu un fatto spiacevole, ma di poca importanza; e forse, se i feriti non si fossero costituiti parte civile, il Governo avrebbe evitato il processo.

In tutto quell’inverno del 1871 si hanno tre manifestazioni diverse di vita nuova. Da un lato abbiamo l’azione del Governo tutta rivolta a cercar locali per gli uffici della capitale, ad appianare difficoltà, a mostrarsi conciliante con tutti, pur proseguendo il suo scopo di ridurre Roma una città moderna e modernamente costituita; dall’altro abbiamo la nuova vita municipale che si estrinseca in continui atti di resistenza contro il potere governativo; dal terzo la vita veramente politica, la lotta fra i partiti rappresentati dal Vaticano, dal Quirinale, e dai resti della Associazione Italiana del 1850, che aveva allora a Roma una piccola schiera di adepti e molti partigiani avventizi venuti dal di fuori.

La visita del Re aveva lasciato uno strascico, come ne aveva lasciati molti e dolorosi l’inondazione che aveva affrettato quella visita. Si seppe, dopo alcuni giorni di accuse al Lamarmora, che era stato don Filippo principe Doria Pamphily, assessore anziano, che era nella carrozza di Vittorio Emanuele, quegli che avevalo dissuaso dal visitare la città Leonina e i quartieri più danneggiati, e invece avevalo condotto a vedere il panorama di Roma dal Pincio. Dispiacque che il Re non rianimasse con la sua presenza gl’inondati, mentre il comitato di soccorso del palazzo Piom-