Pagina:Eneide (Caro).djvu/104

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[295-319] libro ii. 63

295Surse, e ’mbracciò lo scudo, e brandì l’asta.
Allor gridando indovinò Calcante
Che fuggir si dovesse, e tosto a’ venti
Spiegar le vele: chè di Troia in vano
Era l’assedio, se con altri augúri
300D’Argo non si tornava un’altra volta,
E de la Dea non si placava il nume,
Ch’or, per ciò fare, han seco in Grecia addotto
Onde giunti a Micene, incontinente
Si daranno a dispor l’armi e le genti
305E gli Dei che gli aíti e gli accompagni.
Poi ripassando il mar, con maggior forza
Di nuovo assaliranvi, e d’improvviso:
Così Calcante interpreta, e predice.
     Or questa mole che tant’alto sorge,
310Qui per consiglio di Calcante è posta
Invece del palladio, e per ammenda
Del nume offeso, a bello studio intesta
Di legni così gravi e così grandi,
Ed a sì smisurata altezza eretta,
315A fin che per le porte entro a le mura
Quinci addur non si possa, ove per segno
E per memoria poi del nume antico
Riverita da voi, sacrata e cólta
Sia ricovro e tutela al popol vostro.


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