Pagina:Eneide (Caro).djvu/143

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102 l’eneide. [1270-1294]

1270Non vedranno già me, dardania prole,
E di Prïamo figlia, e nuora a Venere,
Nè donna lor, nè di lor donne ancella,
Chè la gran genitrice degli Dei
Appo sè tiemmi. Or il mio caro Iulo,
1275Nostro comune amore, ama in mia vece;
E lui conserva, e te consola. Addio.
     Così detto, disparve. Io che dal pianto
Era impedito, ed avea molto a dirle,
Me l’avventai, per ritenerla, al collo;
1280E tre volte abbracciandola, altrettante,
Come vento stringessi o fumo o sogno,
Me ne tornai con le man vote al petto.
E così scorsa e consumata indarno
Tutta la notte, al poggio mi ritrassi
1285A’ miei compagni, ove trovai con molta
Mia maraviglia d’ogni parte accolta
Una gran gente, un miserabil volgo
D’ogni età, d’ogni sesso e d’ogni grado,
A l’essiglio parati, e ’nsieme additti
1290A seguir me, dovunque io gli adducessi,
O per mare o per terra. Uscía già d’Ida
La mattutina stella e ’l dì n’apria,
Quando in dietro mi volsi, e vidi Troia
Fumar già tutta; e de la ròcca in cima,


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