Pagina:Eneide (Caro).djvu/233

Da Wikisource.
192 l’eneide. [1045-1069]

1045Perch’io nel tuo morir teco non sia.
Con te, me, questo popol, questa terra
E ’l sidonio senato hai, suora, estinto.
Or mi date che il corpo omai componga,
Che lavi la ferita, che raccolga
1050Con le mie labia il suo spirito estremo,
Se più spirto le resta. E, ciò dicendo,
Già de la pira era salita in cima.
Ivi lei che spirava in seno accolta,
La sanguinosa piaga, lagrimando,
1055Con le sue vesti le rasciuga e terge;
Ella talor le gravi luci alzando,
La mira a pena, che di nuovo a forza
Morte le chiude; e la ferita intanto
Sangue e fiato spargendo anela e stride.
1060Tre volte sopra il cubito risorse;
Tre volte cadde, ed a la terza giacque:
E gli occhi vòlti al ciel, quasi cercando
Veder la luce, poichè vista l’ebbe,
Ne sospirò. De l’affannosa morte
1065Fatta Giuno pietosa, Iri dal cielo
Mandò, che ’l groppo disciogliesse tosto,
Che la tenea, malgrado anco di morte,
Col suo mortal sì strettamente avvinta;
Ch’anzi tempo morendo, e non dal fato,


[678-696]