Pagina:Eneide (Caro).djvu/658

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[1320-1344] libro xii. 617

1320Ed io tel vieto. E qui Giove si tacque.
     Abbassò ’l volto, ed umilmente a lui
Così Giuno rispose: Io, perchè noto
M’è, signor mio, questo tuo gran volere,
Ancor contra mia voglia abbandonata
1325Ho l’aita di Turno, e qui da terra
Mi son levata. Che se ciò non fosse,
Me così solitaria non vedresti,
Com’or mi vedi, in queste nubi ascosa,
E disposta a soffrir tutto ch’io soffro
1330Degno e non degno; ma di fiamme cinta
Mi rimescolerei per la battaglia
A danno de’ Troiani. Io, solo in questo,
Tel confesso, a Iuturna ho persuaso
Ch’al suo misero frate in sì grand’uopo
1335Non manchi di soccorso, e ch’ogni cosa
Tenti per la salute e per lo scampo
De la sua vita. E non però le dissi
Giammai che l’arco e le saette oprasse
Incontr’Enea. Tel giuro per la fonte
1340Di Stige, quel ch’a noi celesti numi
Solo è nume implacabile e tremendo.
Ora per obbedirti e perchè stanca
Di questa guerra e fastidita io sono,
Cedo e più non contendo. E sol di questo

Caro. — 39. [806-819]