Pagina:Eneide (Caro).djvu/661

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620 l’eneide. [1395-1419]

     1395Mosse la Dira, e di tempesta in guisa
Ch’impetuosamente trascorresse,
Volò come saetta che da Parto,
O da Cidone avvelenata uscisse,
E non vista, ronzando e l’ombre aprendo,
1400Ferita immedicabile portasse.
Giunta là ’ve di Turno e de’ Troiani
Vide le schiere, in forma si ristrinse
Subitamente di minore augello,
Ed in quel si cangiò che da’ sepolcri
1405E dagli antichi e solitari alberghi
Funesto canta, e sol di notte vola.
     Tal divenuta, a Turno s’appresenta,
Gli ulula, gli svolazza, gli s’aggira
Molte volte d’intorno; e fin con l’ali
1410Lo scudo gli percuote, e gli fa vento.
     Stupì, si raggricciò, muto divenne
Turno per la paura. E la sorella
Tosto che lo stridor sentinne e l’ali,
Le chiome si stracciò, graffiossi il volto,
1415E con le pugna il petto si percosse.
Or che, dicendo, omai, Turno, più puote
Per te la tua germana? e che più resta
A far per lo tuo scampo, o per l’indugio
De la tua morte? e come a cotal mostro


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