Pagina:Eneide (Caro).djvu/68

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[633-657] libro i. 27

Erano in preda al fero augel di Giove,
Com’or, sottratti dal suo crudo artiglio,
635Rimessi in lunga ed ozïosa riga
Si rivolgono a terra, e già la radono.
E sì com’essi con gioiose ruote
Trattando l’aria, col cantar, col plauso
Mostrato han d’allegria segno e di scampo;
640Così placato il mare, a piene vele,
E le tue navi e gli tuoi naviganti
O preso han porto, o tosto a prender l’hanno:
Vattene or lieto ove ’l sentier ti mena.
     Ciò detto, nel partir, la neve e l’oro,
645E le rose del collo e de le chiome,
Come l’aura movea, divina luce
E divino spirâr d’ambrosia odore:
E la veste, che dianzi era succinta,
Con tanta maestà le si distese
650Infino a’ piè, ch’a l’andar anco, e Dea
Veracemente e Venere mostrossi.
     Poscia che la conobbe, e la sua fuga
O fermare o seguir più non poteo,
Con un rammarco tal dietro le tenne:
     655Ahi! madre, ancora tu vèr me crudele,
A che tuo figlio con mentite larve
Tante volte deludi? A che m’è tolto


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