Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/112

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104 fausto.

Brander percuotendo la tavola. Zitti, zitti, signori! date retta a me, e poi dite s’io non sono un uomo. Egli è qui alcuno che patisce d’amore, ed è giusto che io gli dia la buona notte come si convien meglio al suo stato. Attenti! chè la è una canzone nuova di zecca! E cantate di gran lena il ritornello. (Egli canta.)

           Fu un topo che vivea
        Di lardo e di farina
        Senza affanni in cantina,
        E una pancetta avea
        Tonda e lustra che in vero
        Parea ’l dottor Lutero.
        Or la cuoca ribalda
        Gli appiatto in una cialda
        Un velen traditore,
        Che gli diè tal tormento,
        Come se avesse drento
        La rabbia dell’amore.

Coro giubbilando.

           Come se avesse drento
        La rabbia dell’amore.

Brander. Di qua, di là egli corse;

        Dell’acqua, ovunque n’ebbe,
        E bebbe e bebbe e bebbe;
        E graffiò e rose e morse,
        Menando l’ugna e il dente,
        Ma non giovò nïente.
        Fe capriole molte,
        Diè cento giravolte;
        Era un foco, un furore,
        Un rimescolamento,