Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/157

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parte prima. 149

potessi sol averne un leggier senso, tu saresti tal demonio da portare invidia alle mie delizie.

Mefistofele. Delizie più che umane! Giacersi a notte oscura sui monti, alla rugiada ed al vento; trascorrere con mente elastica il cielo di giro in giro; gonfiarsi per agguagliare un Dio; inabissare la mente giù nelle cupe viscere della terra; covarsi in petto tutte e sei le giornate della creazione, orgogliosamente godendosi di non so che; e uscito dell’umano, struggersi e risolversi per gran dolcezza nell’immenso, e allora conchiudere l’alta intuizione.... (con un gesto) io non oso dir come.

Fausto. Vergogna!

Mefistofele. Questo non ti va! Sta bene a te, uomo di buona creanza, l’empirti la bocca di quel vergogna. Non si vogliono ai casti orecchi nominare quelle cose di cui i casti cuori non sanno far senza. Ora, alle corte, io non t’invidio già il piacere di vender menzogne a te stesso di tempo in tempo; ma bada che tu non sei uomo da goderti in ciò lungamente. Tu torni già a vaneggiare come un tempo, e se non sai tosto rilevarli, tu impazzirai, o ti morrai fra breve di affanno o di terrore. Ma basti di questo. La tua dolce amica è là in casa, e tutto intorno a lei è mestizia e travaglio. Tu non le esci mai del pensiero, mai; e misera si strugge a occhi veggenti. Da principio il tuo amore riboccava come un ruscello allo sciogliersi delle nevi; glie l’hai versato nel cuore, ed ecco il tuo ruscello è riseccato. Or pare a me, che in vece di starti qui a fare il grande, intronizzato nelle boscaglie, tu faresti assai meglio di andarne a consolare dell’amor suo quella travaglia-