Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/217

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parte seconda. 209

covando? Chiunque dall’alto di codeste rocce profonde avvalli lo sguardo sul vasto nostro impero, credesi in balia di un mal sogno, nel quale schifosi mostri vengono e vanno continuo, l’illegalità regna legalmente, e si svolge via via una catena di errori infinita.

Questi se ne porta un armento, quegli una donna, il calice, la croce, i ceri dell’altare, e per anni ed anni se ne dà vanto, ben disposto della persona, e sano al tutto e illeso nel corpo. Quand’ecco una querela farsi strada fino alle sale de’ tribunali, e grave in atto tenersi il Magistrato al giudizio, intanto che a larghi fiolti irrompe la sdegnosa marea della rivolta che vie più ingrossa. Chi fa assegno sui complici, e’ può gloriarsi della propria infamia e de’ propri delitti, e ti suona all’orecchio il motto colpevole là dove innocenza è sola alle difese. Per tal guisa, tutto quanto il mondo usa ogni arte a sbranarsi, ed ogni fatta diritti al nulla ridurre. In tale stato di cose, come mai presumere che metta radice e si dilati quel sentimento che solo puote al bene avviarci? L’uomo di rette e probe intenzioni, da ultimo incappa nella cortigianeria, e nel malcostume: un giudice cui manchi il modo per gastigare, s’indurrà in fine a far patto col reo. Ben tristo invero è il quadro che vi ho dipinto, e tuttavia duolmi di non aver saputo rinvenire tinte più tetre ancora e più oscure. (Pausa.)

Inevitabili sono i colpi di stato, dappoichè in un’atmosfera quale codesta è di delitti e di patimenti, l’istessa Maestà non andrebbe esente dal caderne vittima.