Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/375

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parte seconda. 367

gnata, ed ingiungovi di cessare una volta codesto alterco villano. Nulla evvi che sia più fatale a chi regna, della collera de’ fidi servi, alimentata in segreto: l’eco de’ suoi ordini non gli torna più così armonico nel fatto celeremente compito; molte voci ribelli brontolano intorno a lui, che, smarrito, cerca invano di soffocarle. Ma v’ha di più, nella sfrenata vostra stizza, avete rideste immagini sinistre, le quali mi si serrano intorno così tenaci, che, a dispetto delle verdi pianure della mia patria, parmi essere all’Orco trascinata. È forse ciò un ricordo? Fu essa illusione? Sare’io dunque il sogno, il fantasma di codesti sovvertitori di ciltà? tal sono adesso? tale sarei un dì per divenire? Le donzelle raccapricciano; or tu, che se’ tanto innanzi negli anni, che fredda così li mostri e impassibile, rispondimi, e siano intelligibili le tue parole.

La Forcide. A chi rimembra i molti godimenti per lunghi anni provati, a costei il favore de’ Numi par sogno; ma tu, soprammodo graziata, nel corso di tua vita non riscontravi altro che aipanti dal desio trascinati alle più rischiose intraprese. Ed ecco Teseo, acceso di lubriche vampe, ti adocchiò per tempo, Teseo, possente al pari di Ercole, nobile giovinetto e laggiadro!

Elena. Rapivami egli, svelta cervetta a dieci anni, e la borgata d’Afidna?1 nell’Attica, m’ebbe accolto fuggente.

  1. Afidoa, borgo dell’Attica, notato solo da’ più antichi geografi, prende il nome da Afidno re d’Attica. — Ad esso, non che alla madre Etra, Teseo confidava Elena, appena settenne, secondo Plutarco, e decenne secondo Diodoro. (Plut., Teseo; Diodoro Siculo, LIII.)