Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/482

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474 fausto.

  Quanto v’imposi oprate or voi. Condegno
  Premio all’ardente zelo vostro, al vostro
  Eseguir pronto, all’ordine ed al senno,
  Non fia che manchi. Onde al suo fin condotta
  La più grande e sublime opra si veggia,
  Non mille, un braccio sol basta, una mente.


IL GRAN CORTILE DEL PALAZZO.


Fanali.

Mefistofele, sul proscenio in tuono d’ispettore.

       Venite, o Lemuri! o corpi sciancati,
     Ignudi scheletri, e membra recise;
     Feti, accorrete di quante son guise
     Di nervi e tendini e d’ossa informati!1

I Lemuri in coro.

       Al lavoro con teco moviam;
     Noi compreso già in parte l’abbiam;
     Questo largo paese ove siam,
     Occupar, dominare dobbiam.

  1. I Lemuri sono spettri famigliari, una specie d’Ombre, cui gli antichi davano apparenza di scheletri, e de’ quali il superstizioso Medio Evo ebbe fatto gli Spiriti dell’aria, che la scienza scongiura e si sottomette. (Oraz., Epist. II; Apuleio, De Deo Socratis, pag. 110. — Lessing, Sotto qual forma gli antichi si rappresentassero la morte, S. 222. — Teofrasto Paracelso, Phil. Sagax, lib. 1, 89.) — Goethe, il cui genio plastico si rivela fin ne’ minimi particolari, ha qui ricorso, ond’esprimere l’idea della servitù, a scheletri che muovono le membra ai lavori per un moto meccanico e limitato, nè oggimai più diretto dall’azione dell’anima già esalata, nè tampoco dagli appetiti della carne ridotta in polvere. Qual più evidente oggettività potevasi dare al nulla della servitù?