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parte seconda. | 479 |
Come all’usanza omai fidarsi, e al pristino
Dritto? Fin qui, metteva appena un’anima
L’anelito supremo, io coll’artiglio
La ghermia pronto qual la gatta il sorcio.
Nel suo covo schifoso or si rannicchia,
S’avvinciglia alla salma, e mai non termina
Dall’esitar suo vano, ed i contrarii
Elementi v’aspetta che la stringano
Quindi a fuggir con onta ed ignominia. —
Invan mi brigherei di trarre a calcolo
E l’ora e’l di; quando? in che luogo? acconcio
Qual mezzo s’offrirà? — Question difficile!
Che sia venuto meno il subitaneo
Strale alla morte? Da gran tempo è dubbio
Fin anco il SI. Chi sa? Talor con avide
Beanti canne gongolava, gelido
Frale guatando sul terren giacentesi: —
Baie! di tratto palpitare e moversi
Novellamente io mel vedeva!
(Gesti di fantastici scongiuri al modo di un capo-tamburo.)
In guardia
Però, signori miei, se pur vi piaccia;
Voi dal diritto, e voi dal corno a chiocciola,
Voi di vetusto pel veraci diavoli,
Tosto d’Inferno qui traete il báratro;
Chè di báratri e gole e pozze inopia
Non ha l’Inferno, nel cui sen precipiti
In vario modo l’alme si travolgono:
Su ciò men l’avvenire avrà di scrupoli.
(La gola dell’Inferno schiudesi orribile a sinistra.)
L’immenso ardente gorgo ecco spalancasi! —