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DANTE E
VIRGILIO

Quello che c’è di più importante nella Divina Commedia sono i rapporti fra Dante e Virgilio, cioè quell’insieme di movimenti psicologici che sono la riverenza, la deferenza, l’affetto dell’uno per l’altro continuamente frullati e alterati dalle impressioni del di fuori.

Dante è il discepolo che non osa interloquire:

«E quale il cicognin, che leva l’ala
Per voglia di volare, e non s’attenta
3D’abbandonar lo nido, e giù la cala;
Tal era io con voglia accesa e spenta
Di dimandar; venendo infino all’atto,
6Che fa colui ch’a dicer s’argomenta.
Non lasciò, per l’andar che fosse ratto,
Lo dolce Padre mio, ma disse: «Scocca
9L’arco del dir, che infino al ferro hai tratto.»

Purgatorio, XXV, 10-18


«Posto avea fine al suo ragionamento
L’alto Dottore; ed attento guardava
3Nella mia vista, s’io purea contento.
Ed io, cui nuova sete ancor frugava,
Di fuor taceva, e dentro dicea: Forse
6Lo troppo dimandar, ch’io fo, gli grava.
Ma quel padre verace, che s’accorse
Del timido voler, che non s’apriva,
9Parlando, di parlare ardir mi porse.»

Purgatorio, XVIII, 1-9


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