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Le figure del quadro infatti, disposte una dietro l’altra, vestite scrupolosamente con le corazze e gli schinieri, sono ordinate, senza che i piani si compongano o fondano in file parallele; le facce hanno una ricercata impersonalità, che rivela l’imitazione delle statue greche; così come nella carne dei corpi, che è stata dipinta con un modello di marmo e vuol arrivare a quell’effetto medesimo di plastica polita.

In Livio si ritrova la stessa stilizzata ricerca del generico. Così che componendo, a grandi tratti, il carattere della professione e della carica, egli vi introduce poi volta a volta i suoi uomini e fa che essi ne rivestano, con le insegne esterne, anche le doti morali e intellettuali, come, entrando in una stanza ove un gioco di sole sulle persiane l’abbia bagnala tutta di luce verde, la gente è colorata di verde. Così abbiamo il tipo del generale, il tipo del senatore, il tipo del tribuno, mentre la classificazione dei buoni e dei cattivi, più larga, comprende tutte l’altre classificazioni minori. Ma che differenza c’è fra Manlio Torquato e Paolo Emilio, il primo agli inizi e il secondo al termine della storia; se rispetto a ogni circostanza si comportano allo stesso modo, come se seguissero un protocollo?

Noi non possiamo dire se questa attitudine a generalizzare il tipo, piuttosto che ad individuare i singoli, fosse comune a tutta l’opera di Livio, o non piuttosto si ritrovasse soltanto nella parte più antica della sua storia, quella a cui appartengono i libri giunti fino a noi e che tratta i tempi in cui gli stam-