Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/179

Da Wikisource.

Esso le assegna al Fato, il qual non vuole
eh’ove di muro circondò quel barco
altro entri che le amate sue figliuole.
Angiol non è, ch’uscio mai v’abbia o varco;
35ch’un re terreno ancor non vuol si lasse
aperto il suo poder, di che n’è parco.
Ben temerario fora chi v’entrasse,
per grande che si fosse o duca o prince,
se ’l re quanto i stessi occhi non amasse.
40Sola delle virtú la squadra vince
ogni rispetto e penetra quel muro,
com’occhio fa di inaculosa lince.
Il Fato, eh’è robusto, austero e duro,
non mette il piè mai fuora e dá il malanno
45a chi fosse d’entrar troppo sicuro.
Or dunque sole rimischiando vanno
quelle nate di Dio, del ciel sorelle,
per quel gran chiostro e non puon farvi danno.
Di gemme ed òr a guisa di fiammelle
50in un fregiato panno èvvi Giustizia
con altre tre, cosi vestite aneli’elle.
Son quattro al dolce nodo d’amicizia:
Fortezza, Temperanza e la prudente
poi Fede in bianca stola e Pudicizia.
55Quella tien alti gli occhi e va ridente
col dito steso, e questa ’i porta bassi
e va sommessa e fugge assai la gente.
Speranza pensierosa e balda stassi ;
gode nel verde, come la sorore
60sua terza in roscio affretta i lievi passi.
Son tre germane: Fede di candore,
Speme di tempo, Caritá, la terza,
sol si nodrisce d’amoroso cuore.
Èvvi Pace, che tien in man la sferza
65di ramuscei d’oliva, con che scaccia
tutte le risse e nel menar non scherza.